Un monumento in città per i camici bianchi caduti nella lotta al virus, lo realizzerà l'Ordine dei medici di Viterbo

Il presidente dell'Ordine, Lanzetti
di Marco Gobattoni
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Sabato 12 Dicembre 2020, 11:57 - Ultimo aggiornamento: 15:02

Antonio Maria Lanzetti, da poco rieletto alla guida dell'Ordine dei medici di Viterbo, cerca di far capire come i camici bianchi stiano vivendo questo momento. «L'Ordine dei medici ha proposto al Comune di Viterbo l'installazione di un'opera che ricordi i medici morti durante la battaglia al coronavirus; il Comune ci ha dato l'ok e nelle prossime settimane inaugureremo questo piccolo monumento che resterà a memoria di questi difficili mesi».

Lanzetti è presidente dei medici viterbesi dal gennaio 1997: oltre venti anni che alla scadenza del prossimo mandato saranno quasi trenta. Ha lavorato come neurologo per 40 anni in ospedale; dal marzo scorso, anche il suo ruolo, è stato stravolto da una pandemia che ha messo i medici di fronte ad una lunga e ancora non vinta battaglia.

Lanzetti: che significa fare il presidente dell'Ordine dei medici in tempi di Covid-19?
«Lo scorso marzo è cambiato il mondo e di conseguenza il modo di fare il medico. Ci siamo trovati di fronte ad un terremoto che ha sconvolto la vita di tutti ed in particolare di chi ha lottato e lotta ancora in prima linea per sconfiggere questo mostro».

Quale è stata la funzione dell'Ordine in questa delicata fase?
«Noi abbiamo una doppia funzione. Da una parte dobbiamo proteggere i medici in prima linea da episodi e aggressioni che ultimamente stanno aumentando. Dall'altra dobbiamo garantire ai cittadini la qualità delle cure e la garanzia che quando si affidano ai nostri professionisti siano consapevoli che verrà fatto il meglio in ogni situazione sanitaria che verrà affrontata».

La scorsa primavera i medici erano considerati degli eroi; ora il sentimento nei vostri confronti sembra essere mutato: si è chiesto il perché?
«I cittadini in generale sono stanchi di una situazione che limita fortemente il modo di vivere all'occidentale che conosciamo da sempre, se così si può dire.

In più ci sono stress e paura per la situazione economica e sanitaria che stiamo affrontando. Quello che posso dire, che ho visto con i miei occhi è che ogni singolo medico che conosco a Viterbo e non solo, è andato oltre le proprie possibilità per cercare di alleviare e risolvere le problematiche legate ad una situazione che è, bene ricordare, è stata a lungo misteriosa per tutti; anche per noi medici».

Oggi le cose a livello di conoscenza e di strumenti per sconfiggere il virus sembrano andare meglio.
«Questo senza dubbio. A primavera siamo stati investiti da un ciclone che forse è stato anche sottovalutato, ma che abbiamo imparato a conoscere anche attraverso i numerosi lutti che abbiamo dovuto piangere. Oggi la medicina è più forte e anche i medici hanno maggiore consapevolezza che questa è una battaglia ancora lunga, ma che stiamo vincendo con l'aiuto di tutti».

È come se si fossero create due categorie di medici ben distinte tra loro: da una parte quelli ospedalieri, dall'altra quelli di base. Cosa pensa dell'ultima sentenza del Tar Lazio che impone lo stop alle visite a domicilio da parte dei medici di base ai pazienti Covid?
«Non parlerei di categorie. Ospedalieri e medici della medicina territoriale vedono il problema da un punto di vista differente: bisogna unire i due punti per affrontare e sconfiggere la pandemia».

La sentenza?
«La normativa c'è e va rispettata, ma va anche interpretata. In questo momento non possiamo nasconderci perciò dico: chi può dare di più lo dia, come peraltro stanno facendo i miei medici».

Li chiama come fossero suoi figli.
«In qualche modo lo sono. Qualche volta la mia funzione mi impone di bacchettarli, ma sono orgoglioso di essere il presidente di un gruppo che sta affrontando questo mostro con una tenacia e una professionalità commoventi».
 

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