Covid, la ripresa passa dal rilancio del centro storico. «Se muore, chiude la città»

Corso Italia
di Luca Telli
3 Minuti di Lettura
Venerdì 16 Aprile 2021, 06:30 - Ultimo aggiornamento: 13:24

I numeri della crisi li fornisce l’Inps. Nel solo comune di Viterbo, nell’ultimo anno, sono state 8223 le richieste liquidate per ottenere il sussidio di disoccupazione. Con il blocco dei licenziamenti in piedi da quasi 12 mesi, un campanello dall’allarme che suona ancora più forte.

Tolto l’esercito degli stagionali che gonfia i conti, il problema è concreto e rischia di peggiorare già dal terzo trimestre quando, per forza di cose, la struttura assistenzialista governativa dovrà prima diminuire la sua azione, poi arrestarsi del tutto per non diventare ancora più insostenibile.

A pagare il prezzo più alto della pandemia la micro impresa; una mina che colpisce la base dell’organismo economico viterbese, il tessuto connettivo del quale si amalgama e struttura intorno a questa tipologia: uno, massimo due dipendenti spesso dello stesso nucleo famigliare.

«Non possiamo aspettare che da Roma risolvano tutti i problemi, dobbiamo iniziare a darci da fare – spiega il segretario della CISL Fortunato Mannino -. I sussidi tengono le aziende a galla, ma non sono risolutivi. Non creano occupazione. Senza una visione, finiti i ristori, cresceranno solo disoccupati e indebitamento collettivo».

Un piano programmatico che, secondo la CISL, deve partire dalla riqualificazione economica del centro storico dal quale, negli ultimi 10 anni, le micro imprese hanno battuto in ritirata; le nuove aperture non in grado di reggere il ritmo delle chiusure hanno fatto il resto congelando, di fatto, il riciclo fisiologico proprio del mercato.

Le vetrine desolatamente vuote e coperte di polvere di Via Saffi, la testimonianza peggiore del declino dell’area dalla quale non sono solo i capitali a fuggire, ma anche i residenti, sempre più orientati verso le nuove aree di urbanizzazione periferica meglio servite.

«Per rilanciare dobbiamo cambiare marcia, quanto fatto finora non è stato sufficiente.

Mi spiego, gli inviti a investire non bastano vanno pensate delle aperture che possano reggere il mercato – spiega Mannino -. Ma per far questo c’è bisogno di una collaborazione a tutti i livelli. L’idea che lanciamo è un tavolo tra Comune, associazioni datoriali e sindacati per concertare, attraverso un serio studio di settore le attività che servono e che andrebbero riaperte per il rilancio del centro storico e, di riflesso, della città. Se muore il centro, muore anche il resto»

Ma non è tutto. Imprese sulla carta produttive e interessanti per il mercato rappresentano il primo aspetto. La seconda fase del progetto passa da un ricollocamento del baricentro sociale: riportare massa critica dentro le mura al di fuori dei giorni di picco del fine settimana. Una possibilità è quella di ampliare i servizi comunali già esistenti, uffici e sportelli alla persona in grado di garantire un aumento del passaggio e una possibilità in più per le imprese di sopravvivere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA