«Noi eroi? Facciamo solo il nostro lavoro»: parla Mario Curzi, presidente degli infermieri di Viterbo

Mario Curzi, presidente Ordine infermieri Viterbo
di Regina Villa
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Giovedì 2 Aprile 2020, 12:11 - Ultimo aggiornamento: 16:10

«Ci sono solo pochi colleghi contagiati dal Covid-19. E, ci tengo a precisarlo, nessuno lo ha contratto dentro l’ospedale». Mario Curzi è presidente dell’Ordine provinciale degli infermieri. Accanto a quella dei medici, la loro è la categoria in prima linea nell’assistere pazienti contaminati. «Siamo tutti un po’ stanchi - racconta - ma la situazione nel Viterbese non è paragonabile a quella nel nord Italia. Stiamo reggendo, anche grazie alle competenze professionali acquisite negli anni».

Curzi, ci sono infermieri viterbesi che hanno aderito all’avviso della protezione civile nazionale?
«No, nessuno dei nostri si è proposto per partire volontario nelle zone rosse».

Perché?
«Innanzitutto, perché la Asl sta pescando da un concorso di un paio di anni fa per assumere personale. Sinora sono già stati chiamati in 33, già entrati in servizio. In base all’esperienza maturata, sono stati destinati a reparti ad alta o bassa intensità. C’è da considerare che ogni anno iscriviamo tra le 30 e le 40 nuove unità all’ordine. A Viterbo abbiamo una sede universitaria, distaccamento della Sapienza di Roma, facoltà di Medicina, ma il 10% degli iscritti sono militari e il 20% non sono di Viterbo e una volta laureati tornano nelle zone d’origine. Ogni anno concludono il corso circa 30 infermieri della Tuscia. Inoltre, registriamo un elevato tasso di immigrazione verso la Gran Bretagna e la Germania. Ho firmato circa 350 pass per quei due Paesi».

Come è cambiato il vostro lavoro con l’emergenza coronavirus?
«Fortunatamente, la situazione da noi non è grave come altrove. Inoltre, registriamo una buona organizzazione. A Belcolle abbiamo il Blocco D tutto dedicato al Covid-19 con le misure di sicurezza necessarie per l’ingresso e l’assistenza ai pazienti, nonché per la fase successiva. Penso al corretto smaltimento dei rifiuti e dei dispositivi, alla disinfezione. Inoltre, ci sono percorsi ben definiti per chi arriva e chi parte”.

I vostri turni come sono organizzati?
“La notte è di 12 ore. Di giorno, invece, siamo suddivisi in 6 ore. Ma nel Covid ci si alterna ogni 3 ore, altrimenti la sopportazione dei dispositivi sarebbe intollerabile. Soprattutto per la tuta completa di copricapo».

Siete dotati delle protezioni necessarie, quindi?
«Sì, ci sentiamo abbastanza sicuri. Ce ne sono state fornite, altre le abbiamo acquistate come ordine provinciale e devolute all’ospedale, usando canali alternativi si approvvigionamento».

Si parla di voi, in questo periodo, come di “angeli” o di “eroi”. Si riconosce in questa definizione?
«Quando scegliamo questa attività, compiamo una scelta di vita: quella di stare accanto a chi soffre. Ma il nostro lavoro, al di là del lato umano, si fonda su competenze professionali precise, a cui non possiamo derogare e che altri non hanno».

E quando vi trovare di fronte a un paziente in fin di vita?
«Anche nel guidarlo verso la fine devi essere formato e preparato, altrimenti non reggi. È il nostro lavoro».

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