Dalle griffe ai dispositivi anti-Covid: «Produrre 2,5 milioni di mascherine al mese per battere il virus»

La Dimar di Valentano
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Sabato 18 Aprile 2020, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 11:49
L’orgoglio per la terra che li ospita, la capacità imprenditoriale di reinventarsi, 350 dipendenti diretti e 300 di 20 aziende dell’indotto insieme a, soprattutto, un cuore grande.

Alla Dimar di Valentano c’è tutto questo: un gioiello della manifattura italiana che, dalla sede principale nella zona artigianale del paese, ha saputo conquistarsi commesse con i marchi più blasonati della moda, senza però perdere il proprio animo. Quello di un’azienda che ogni anno compie almeno “una buona azione”, come la definisce uno dei due soci fondatori, nonché amministratore delegato Fabio Martinelli. E ora, dalla lavorazione della pelletteria, si è aperta al nuovo mercato dei dispositivi di protezione. Ma tutto nasce, appunto, dall’ultima buona azione.

Martinelli, ci spieghi un po’ questa storia delle solidarietà.
«A dicembre abbiamo dato un sostegno a due case che ospitano ragazzi con difficoltà. Ogni anno scegliamo un obiettivo. Ma non ci piace troppo parlarne. Perché? Perché le buone azioni si fanno, non si raccontano».

E la produzione delle mascherine come nasce?
«Siamo stati stimolati dal bisogno di dispositivi di protezione in questa fase così complicata. Servivano anche per proteggere i nostri dipendenti. Poi, la Asl ci ha contattati in diverse occasioni perché ne aveva tanto bisogno per far operare in sicurezza gli operatori sanitari. E così abbiamo deciso di dare una mano».

Come?
«Abbiamo stabilito un budget e, con quello, realizzato circa 50mila mascherine. La metà, insieme a 1.000 calzari e altrettante cuffie li abbiamo donati proprio alla Asl. Le restanti 25mila le abbiamo regalate a 20 comuni della zona e alle forze dell’ordine».

I dipendenti come hanno reagito?
«Con grande entusiasmo, lavorando anche il sabato. Da quasi 4 settimane 20 persone sono impiegate sulle mascherine con enorme spirito di devozione».

E ora state continuando?
«Per farlo, abbiamo effettuato una parziale riconversione industriale, con un aumento di capitale e la creazione di una nuova divisione medicale che si affianca alla Dimar Group Spa, dedicata alla produzione e vendita di presidi medico-chirurgici».

Come vi siete organizzati?
«Con tutti i miei collaboratori abbiamo avviato una ricerca sui materiali e sulle leggi del settore. Il percorso è stato avviato con l’Università della Tuscia con cui collaboriamo già per diversi progetti e ora ci sta affiancando nella ricerca sui tessuti, con la supervisione del professor Giuseppe Calabrò. Abbiamo acquistato una macchina automatica per la produzione di mascherine chirurgiche in arrivo il 27 aprile e che ci consentirà di realizzare 5mila dispositivi all’ora, 120mila al giorno e 2,5 milioni al mese».

I prossimi passi?
«Abbiamo chiuso un contratto con un’azienda di tessuti., stretto contatti con il Politecnico di Milano e pedito il materiale al Sant’Orsola di Bologna per l’analisi della carica batterica. Ottenuta la risposta, presenteremo domanda all’Istituto superiore di sanità per ottenere la certificazione».

Altri progetti in cantiere?
«Ci stiamo informando per produrre mascherine FFP2. In questo caso, il nodo è la certificazione: non esistono laboratori per test in Italia. I più vicini sono in Francia e Spagna. Ma difficilmente ci arrenderemo: siamo già avanti con il lavoro».

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