Maxi confisca da 8 milioni di euro: i beni di Elio Marchetti passano alla Stato

Finanza
di Maria Letizia Riganelli
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Mercoledì 23 Febbraio 2022, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 18:30

I beni di Elio Marchetti passano alla Stato. Immobili, conti correnti, moto, autovetture e barca per un valore di 8 milioni di euro. E’ finito tutto nelle nelle mani pubbliche.

L’ultimo pesante tassello della saga dell’imprenditore viterbese appassionato di moto e velocità è stato scritto proprio ieri, quando fiamme gialle e Polstrada hanno eseguito la confisca di primo grado sui suoi beni e su tutti quelli a lui direttamente o indirettamente riconducibili. E’ la prima volta che a Viterbo viene eseguita una confisca di questa entità. Mirata a svuotare quanto raccolto e costruito in anni di lavoro ed evasione fiscale. E’ questa infatti la causa primaria della confisca e di tutti i guai giudiziari con cui ha fatto i conti, e li sta facendo ancora, Elio Marchetti.

Guai iniziati 15 anni fa quando fiamme gialle e Polstrada hanno iniziato a indagare sul suo conto. L’inchiesta principale che lo vede al centro di un complesso meccanismo per frodare l'erario però è del 2016. Si tratta dell’operazione Dejavù. La stessa per cui la scorsa estate l’imprenditore viterbese è stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione per l’accusa di associazione a delinquere a carattere transnazionale finalizzata alla commissione di reati contro la fede pubblica e il fisco. Condanna patteggiata in appello a 2 anni e 8 mesi che Marchetti sta scontando ai domiciliari.

Insieme a Marchetti erano imputate altre 5 persone, tre di queste chiusero i conti con la giustizia in abbreviato.

La storica dipendente Carla Corbucci fu assolta mentre il socio pugliese Domenico Sordo condannato in primo grado a due anni e mezzo. Marchetti & co avrebbero messo in atto dei veri e propri caroselli per lucrare sul fisco. Se Marchetti era l’imprenditore che aveva necessità di piazzare sul mercato le auto straniere, Domenico Sordo il gancio pugliese che grazie alla sua agenzie di pratiche auto riusciva a far a sbloccare le targhe.

Lo scopo era uno: evadere l’iva delle auto importate dall’estero. I meccanismi per riuscirci, invece, molti. Il sistema fraudolento messo in atto si basava in buona sostanza sull’emissione e sull’utilizzo di fatture per operazioni commerciali inesistenti, la falsificazione di documenti amministrativi, l’impiego di false dichiarazioni sostitutive di atto notorio. «In questo modo - spiegano finanza e polizia stradale - era stato possibile all’organizzazione criminale omettere il versamento a favore delle casse dell’erario di Iva dovuta pari a 5 milioni e quattrocentomila euro e di Ires pari a un milione e 500mila euro.

Non solo, l’indebito risparmio fiscale così ottenuto veniva “investito” collocando i beni sul mercato a prezzi estremamente vantaggiosi, a discapito delle imprese concorrenti operanti nel pieno rispetto della normativa fiscale, con estremo danno per la concorrenza e il mercato».

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