Assalto al portavalori, dna e indagini inchiodano i rapinatori. Ma il milione di euro è sparito

Il comandante dei carabinieri Antonazzo e il comandante della polizia penitenziaria Bologna
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Sabato 12 Dicembre 2020, 06:40 - Ultimo aggiornamento: 19:45

Assaltarono portavalori, dna e indagini meticolose inchiodano banda di rapinatori. Ieri mattina all’alba, a conclusione di una complessa attività investigativa, il Nucleo investigativo carabinieri e la polizia penitenziaria di Viterbo, sotto la direzione dei sostituti procuratori Massimiliano Siddi e Stefano D’Arma, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di due persone. 

Rapina milionaria al portavalori, tra i banditi c'erano anche due vigilantes

I due arrestati, insieme ad altri 5, tra cui due dipendenti dell’istituto di vigilanza Securpol, sono ritenuti responsabili dell’assalto a mano armata a un furgone portavalori, avvenuto il primo febbraio 2016, in corrispondenza dello svincolo per Vetralla in località Cinelli della superstrada Orte - Civitavecchia. Due gli arresti e cinque gli indagati. Uno degli arrestati è un’ex guardia giurata che avrebbe avuto il ruolo della talpa, comunicando posizioni e spostamenti. E’ un’ex guardia giurata anche uno dei 5 indagati che sempre ieri sono stati sottoposti a perquisizione. Secondo quanto ricostruito la banda, composta prevalentemente da campani e romani, avrebbe messo a segno anche altre rapine sul territorio nazionale, le indagini sono ancora in corso. E potrebbero esserci ulteriori sviluppi.

A raccontare come dopo oltre 4 anni carabinieri e penitenziaria sono riusciti a risalire alle identità dei rapinatori sono stati il comandante provinciale dei carabinieri Andrea Antonazzo e il comandante della polizia penitenziaria Daniele Bologna. «La svolta - hanno spiegato - è arrivata nel 2019 - quando c’è stato uno sviluppo importante. La penitenziaria ha raccolto informazioni utili e grazie alla collaborazione degli investigatori siamo riusciti a scoprire gli autori». 

L’assalto del primo febbraio 2016 resta uno dei colpi più efferati messi a segno nel Viterbese. «Un delitto - hanno detto i due comandante - che non ha precedenti nella storia delinquenziale viterbese, sia per le modalità di realizzazione sia per il cospicuo bottino, di un milione di euro - fruttato ai rapinatori. Nel pomeriggio del primo febbraio 2016, un furgone portavalori della Securpol Group, diretto a Fiumicino, mentre era in procinto di imboccare la rampa di uscita dalla Superstrada in località Cinelli, viene affiancato e bloccato da tre uomini armati di pistole e fucili travisati a bordo di una Bmw Station Wagon.

Sotto la minaccia delle armi e dopo aver sistemato un ordigno, risultato poi finto, sul parabrezza anteriore del portavalori, intimano alle due guardie giurate di scorta di aprire il mezzo. Le due guardie, quindi, sono state disarmate e mentre una è stata fatta inginocchiare davanti al mezzo, l’altra ha dovuto disattivare i sistemi di difesa passiva e aprire la cassaforte.

Durante le operazioni di trasbordo delle sacche col denaro, gli automobilisti di passaggio, sotto la minaccia delle armi, vengono bloccati e fatti mettere in ginocchio sulla carreggiata. I tre fuggono subito dopo abbandonando poco lontano armi e auto usa per la fuga. Quel giorno i rapinatori lasciarono anche dei profili genetici. Profili che li avrebbe incastrati alla grande. «Ovviamente non è stato un caso - ha spiegato il comandante Bologna -. In questa indagine niente è casuale. Abbiamo indirizzato le indagini e trovato le risposte». 

«Anche in questa attività - hanno spiegato ieri - trova attuazione l’indirizzo del procuratore capo, Paolo Auriemma, mirato alla valorizzazione della capacità delle forze di polizia di raggiungere risultati investigativi di pregio attuando una efficace sinergia». Ma se la banda ora ha nomi e cognomi, ciò che manca è il bottino.
Il milione di euro in contanti sottratto quasi cinque anni fa è ancora ben nascosto. I 7 indagati sono accusati di rapina aggravata in concorso, ricettazione e porto di armi clandestine e alterate. 

«Questa operazione - ha concluso il comandante Antonazzo - è la dimostrazione che le forze dell’ordine spesso riescono a venire a capo dei crimini più efferati».

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