Sfruttamento, «nelle campagne della Tuscia: 2700 lavoratori invisibili»

Jean Renèe Bilongo
di Simone Lupino
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Sabato 4 Marzo 2023, 05:45 - Ultimo aggiornamento: 17:06

Sfruttamento, nelle campagne della Tuscia 2700 “invisibili”. Lavoratori il cui impiego figura solo in parte (per un numero di ore o giorni ridotto rispetto a quello effettivamente svolto) o non figura affatto. Un dato approssimativo, ma è quello che meglio inquadra il fenomeno in rapporto alla media nazionale.

E’ quanto emerso giovedì dal convegno “Quale globalizzazione? Per una società ed un’economia senza sfruttamento e tratta di persone” all’Unitus. Tra i relatori Jean Renèe Bilongo della segreteria nazionale Flai-Cgil e presidente dell’Osservatorio “Placido Rizzotto”, una struttura interna al sindacato la cui principale attività è la redazione del rapporto “Agromafie e caporalato”.

“Il Lazio ha un bacino di lavori stagionali agricoli di 46mila unità e la provincia di Viterbo di 9mila, fonte Inps – ha esordito -. Accanto a questi numeri c’è un’area della sofferenza, un bacino di invisibilità. Sono lavoratori che non vengono computati da nessuna parte e da nessun organo. La percentuale su scala nazionale equivale al 30% dell’intera manodopera”. Si desume quindi che nella Tuscia gli invisibili siano circa 2700 invisibili, “compresa una zona di grigio, quelle persone che solo in parvenza hanno un lavoro regolare”. Una sottolineatura: “Non tutta l’agricoltura è toccata dallo sfruttamento, ma ci sono dei problemi che vanno affrontati e non nascosti sotto il tappeto”.

L’ultimo rapporto individua nella Tuscia 7 zone a rischio, come già riportato da Il Messaggero: Viterbo/Castel d’Asso, Vetralla, Bolsena, Orte, Tarquinia, Montalto, Canino. Alla stesura collabora “un pool di docenti universitari, avvocati, magistrati, ricercatori, attivisti”. Referente nella Tuscia Marco Nati, segretario provinciale Flai-Cgil.
Di “varie sfumature di sfruttamento” ha parlato il coordinatore della Rete Anti tratta della Tuscia, Sergio Giovagnoli: “Più lieve, meno lieve e più grave, che vanno conosciute per adottare strategie di contenimento e contrasto efficaci”.

Uno dei settori più esposti “l’allevamento”. Per il tipo di lavoro richiesto "in alcuni casi si registrano gravi condizioni di sfruttamento e di riduzione in schiavitù”. Si verificano “quando una persona non è più libera di lasciare il luogo di lavoro ed è costretta a dormire sul posto, dentro una catapecchia”. Sfruttati anche gli italiani, “ma gli stranieri sono i più vulnerabili perché ricattabili, se perdono il lavoro non hanno una rete famigliare di sostegno”.

La Rete anti tratta della Tuscia si è spesa per l’attivazione della Rete del lavoro agricolo di qualità “a sostegno delle aziende sane, che subiscono la concorrenza sleale di chi non rispetta i contratti di lavoro”. Un registro che oggi conta solo 120 imprese su 10mila. “I numeri potrebbero aumentare dal prossimo anno con la pubblicazione di bandi regionali che prevedono premi specifici”, ha spiegato Luigi Pagliaro (Camera di Commercio). La Rete anti ratta, inoltre, è impegnata con lo sportello legale e la realizzazione di percorsi protetti per chi denuncia.

Giovagnoli ha lodato il lavoro della Prefettura: “Nel corso dell’ultimo anno ha convocato due incontri con sindacati, associazioni, imprese, forze dell’ordine. Soggetti con punti di vista diversi, che è importante si confrontino per un coordinamento efficace delle azioni”.

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