Tuscania, mistero sull’arma dell’omicidio: il processo riparte

Tuscania, mistero sull’arma dell’omicidio: il processo riparte
di Maria Letizia Riganelli
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Lunedì 28 Settembre 2020, 08:16
Stamattina riprende la Corte d'assise che dovrà decidere se Aldo Sassara è colpevole o innocente. Il Il 76enne di Tuscania, difeso dagli avvocati Marco Valerio Mazzatosta e Danilo Scalabrelli, è accusato di aver ucciso il cognato ottantenne Angelo Gianlorenzo. L'omicidio è avvenuto domenica 14 agosto 2016 nelle campagne tra Marta e Tuscania. La vittima sarebbe stata barbaramente uccisa. Ma nel campo non sarebbe mai stata trovata l'arma del delitto. Gli inquirenti, fin da principio, si sono orientati sulla pista del cognato. E hanno passato al setaccio le telecamere per cercare dettagli. Uno di questi sarebbe, secondo l'accusa, che l'imputato il giorno dell'omicidio sarebbe passato davanti a una telecamera molto presto con dei vestiti e al ritorno ne avrebbe portati altri. L'ultima udienza, prima dello stop per l'emergenza Coronavirus, si è celebrata il 2 marzo scorso. In quell'occasione l'unico imputato ha preso la parola per fornire la sua ricostruzione dei fatti. La sua versione della storia. «La verità - disse durante l'esame imputato - è che mi hanno tirato una bomba addosso, io che sono sempre stato buono. Con mio cognato siamo stati in società per 40 anni e non abbiamo mai litigato. I problemi erano con mia sorella per l'eredità, mi ha fatto sette cause ancora in corso. Giorni prima dell'omicidio avevamo litigato per la multa, Gianlorenzo mi si era affierato addosso. Ma io non sono nemmeno sceso dal motorino. Poi non l'ho più visto, che era morto me lo hanno detto i carabinieri». La famiglia della vittima, la moglie e i figli, sono parte civile nel processoassistiti dall'avvocato Sassara sei mesi fa ricostruì anche il giorno dell'omicidio sottolineando di non essersi mai cambiato gli abiti. «Portavo una canotta azzurra, calzoncini una camicia a quadretti e un giubbotto senza machine perché la mattina presto anche ad agosto serve e ho preso il motorino per andare in campagna. Ma non mi sono mai cambiato quando sono ripartito era più caldo e non aveva la camicia e il giacchetto, li avrò messi nel baule o nel casale in campagna». Abiti ripresi dalle telecamere che, senza il riflesso del sole, sarebbero dello stesso colore che l'imputato ha sempre riferito di avere: «Il giacchetto era blu, ma non lo so dove sta e perché i carabinieri non lo hanno preso». Ha spiegato tutto anche le intercettazioni ambientali. Quelle frasi captate dagli inquirenti che sembravano autoaccusatorie e per bocca dell'imputato avrebbero tutt'altro significato. Come uno sfogo. Oggi in udienza saranno ascoltati gli ultimi testimoni del processo che potrebbero fornire, ancora una volta, un nuovo punto di vista.
 
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