Covid, ultima chiamata per i teatri. Cervo:«Ripensare gli spettacoli per non morire»

Covid, ultima chiamata per i teatri. Cervo:«Ripensare gli spettacoli per non morire»
di Luca Telli
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Giovedì 15 Aprile 2021, 06:10 - Ultimo aggiornamento: 22:10

«Viviamo una precarietà fortissima. Manca uniformità normativa, spesso le linee del Ministero sono solo parzialmente in linea con quelle delle Regioni, altre volte addirittura in totale disaccordo. Il sistema cultura si salverà solo grazie al senso di responsabilità, la politica deve mettere da parte il suo narcisismo e capire che il tempo dei personalismi è finito».

 Un anno durissimo, fatto di sale vuote e luci soffocate, e un futuro da scrivere di getto possibilmente senza sbaffi di inchiostro. È la situazione che racconta Gian Maria Cervo, drammaturgo viterbese e fondatore del festival internazionale ‘Quartieri dell’Arte’, dal 1997 punto di riferimento per il teatro contemporaneo sopravvissuto allo tsunami della pandemia grazie a spalle quadrate e poche finestre estive, la maggior parte delle quali affacciate lontano dall’Italia.

«Un’Italia che mette la cultura al primo posto e poi se ne dimentica – continua Cervo -. I cliché mi infastidiscono eppure non posso fare a meno di notare il modo in cui il teatro è stato e continua ad essere trattato. È molto più sicuro di tante altre attività alle quali, invece, è stato consentito di lavorare anche nei momenti più neri». Forzare l’apertura (al centro di un confronto tra CTS e il Ministro Dario Franceschini sull’alleggerimento dei criteri) per Cervo è fuori questione. La protesta deve restare confinata tra le righe, senza eccessi che avrebbero come unico effetto quello di prolungare l’agonia.

«Ognuno di noi vede i numeri della pandemia.

Piangiamo da mesi centinaia di morti al giorno e non c’è bisogno di altro per capire – spiega Cervo -. Ma la sterilità e la superficialità con la quale è stata trattata la questione non va bene».

L’assenza, precisa Cervo, di un piano emergenziale che sia in grado di permettere al teatro di sopravvivere anche davanti a un virus che il caso non esclude possa tornare in autunno o presentarsi, nei prossimi anni, in una forma diversa da quella di COVID -19.

«Dalla pandemia dobbiamo imparare. Ci deve spingere alla riflessione, a creare dei prodotti diversi – continua Cervo – Per riuscirci serve una bandistica concepita organicamente. Mi spiego, fondi e finanziamenti orientati alla creazione di film teatrali. In molti paesi europei è una linea condivisa e già strutturata. La Rai ha fatto dei tentativi riusciti, tra l’altro, molto bene, ma siamo indietro. L’arte va blindata, deve esistere un ospedale da campo anche per lei».

Il rischio è quello di perdere un patrimonio umano e artistico imponente, con centinaia di attori e operatori costretti a guardare altrove. I ristori messi in campo dal governo sono buoni, aggiunge Cervo, ma non soddisfacenti. Al pari delle forze stanziate dalla Regione Lazio. «Non sono i fondi il vero problema. Il punto è come vengono spesi e con quali criteri assegnati, – conclude Cervo -. La macchina deve essere più efficiente e meno burocratizzata».

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