Suicidio in carcere, il caso di Hassan Sharaf si perde nell'oblio

Mammagialla
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Domenica 24 Ottobre 2021, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 14:58

Perso nell’oblio della giustizia. Il caso di Hassan Sharaf, 21enne egiziano morto suicida nel carcere di Viterbo, resta sospeso. Sospeso e nascosto tra altri faldoni. Il giudice prenderà in esame l’opposizione all’archiviazione - presentata dai familiari, dall’ambasciata egiziana e da una ong per i diritti umani - solamente nel 2024. Tre tre anni. Quando dalla morte del ventenne ne sono già passati altrettanti. Il 30 luglio del 2018 Hassan si impicca con le lenzuola nella sua cella in isolamento. Inutile la corsa verso l’ospedale di Belcolle, dove viene registrata la sua morte. Il giovane egiziano era detenuto nel carcere di Viterbo per un cumulo di pene. Piccoli reati che gli hanno spezzato la libertà. E forse anche la vita.

La morte di Hassan in un baleno ha riaperto vecchie, e mai sopite, ferite del carcere di Viterbo. Perché Hassan prima di decidere di farla finita aveva raccontato di aver subito abusi e di temere per la propria vita. Una paura così forte che lo avrebbe spinto al suicidio. Il gesto di Hassan ha destato l’attenzione anche del ministero degli Esteri egiziani che pochi giorni dopo il decesso ha inviato alcuni rappresentanti dell’Ambasciata a chiedere di fare piena luce sulla vicenda. Una storia che in alcuni passi assomiglia a quella di Giulio Regeni. Ragazzo italiano ammazzato di botte in un carcere egiziano.

La Procura nell’immediatezza aprì un fascicolo per istigazione al suicidio nel tentativo di capire cosa fosse realmente accaduto nel penitenziario e se davvero quel giovane fosse stato spinto da soprusi e percosse a mettere fine alla sua vita.

Dopo l’apertura del fascicolo la Procura ha chiesto l’archiviazione del caso. L’unico procedimento che fu aperto è quello per percosse. Schiaffi che due agenti avrebbero dato al giovane prima di spostarlo in isolamento. Il 15 dicembre i due agenti compariranno davanti al giudice Elisabetta Massini con l’accusa di abuso dei mezzi di correzione. Il punto vero però è l’archiviazione.

L’avvocato Giacomo Barelli, che assiste l’ambasciata egiziana e il cugino della vittima, e uno studio legale romano a nome di una ong egiziana e della mamma, hanno presentato opposizione all’archiviazione. E il Tribunale ha fissato l’udienza al 2024. «E’ uno smacco - afferma l’avvocato Giacomo Barelli -. Uno smacco ulteriore che non aiuta nessuno. Ci saremmo aspettati di far valere le nostre ragioni davanti a un giudice, visto che per la Procura non c’è stato nulla, ma a quanto pare è tutto rimandato. L’idea è che non interessi a nessuno». In realtà a qualcuno sembra importare e molto. L’ong umanitaria che si è inserita nel caso avrebbe presentato, nei giorni scorsi, una nuova denuncia sul caso. Una denuncia più ampia destinata a far riattivare il caso.

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