Sprangate al carabiniere che li soprende a rubare, «ladri riconosciuti grazie alle telecamere»

Carabiniere
di Maria Letizia Riganelli
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Venerdì 11 Giugno 2021, 06:25

Sprangate al carabiniere che sorprende ladri in casa sua, entra nel vivo il processo. I due imputati, arrestati alcuni mesi dopo il colpo, sono ancora ai domiciliari con braccialetto elettronico e rispondo, davanti al collegio del tribunale di Viterbo, di rapina aggravata. Si tratta di due cognati, giostrai di professione e residenti a Cerveteri, che sarebbero responsabili anche di altri 6 furti commessi tra Roma e Oriolo Romano. A gennaio 2020 due cognati si introdussero in casa di un carabinieri di Oriolo Romano. Il furto avvenne nel tardo pomeriggio. I due sicuri che in casa non ci fosse nessuno entrarono a volto scoperto e razionarono tutto ciò che trovarono. Mentre uscivano di fretta dall’abitazione il proprietario, rientrato prima dal lavoro, li sorprese sulle scale. Ne nacque una colluttazione. L’uomo tentò di fermare i due ladri ma questi iniziarono a colpirlo con una spranga e riuscirono a scappare. Il militare riportò lesioni giudicate guaribili in 7 giorni. Dopo sette mesi di indagini serrate i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale assieme ai colleghi di Massa Carrara e Cerveteri hanno dato esecuzione al provvedimento di custodia cautelare emesso dal gip del Tribunale di Viterbo nei confronti dei due presunti rapinatori. «L’attività d’indagine che prese immediatamente via da quel grave episodio - ha spiegato in aula un carabiniere del Nucleo investigativo - partì dalla visione delle immagini delle telecamere del comune, il che permise di individuare targa e modello dell’autovettura, una fiat 500L, usata dai due».

Oltre alla visione delle telecamere di sorveglianza del vicinato gli investigatori, subito dopo la rapina, ascoltarono anche alcuni testimoni. I ladri infatti agirono a volto scoperto. Lasciando le vittime libere di vederli in faccia. «L’attività investigativa - hanno spiegato i militari - ha permesso di dare un volto ai due soggetti, noti alle forze dell’ordine perché con alle spalle numerosi precedenti per reati contro il patrimonio, indicati anche dalla vittima a seguito di riconoscimento fotografico». I difensori dei due imputati durante la fase preliminare ricorsero anche al tribunale della Libertà e alla Cassazione per far revocare l’arresto, sostenendo che uno dei telefoni che avrebbe incastrati i ragazzi non era utilizzato da loro ma dalla suocera. Motivazioni che non sono state accolte dalla Suprema Corte. I due sono ancora in misura cautelare.

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