Processo a un 45enne di Vetralla, la vittima: «All’inizio sembrava il principe azzurro poi è iniziato l’incubo»

Il tribunale di Viterbo
di Maria Letizia Riganelli
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Mercoledì 18 Novembre 2020, 08:57 - Ultimo aggiornamento: 20:16

«Sembrava il principe azzurro. Poi ha iniziato a picchiarmi e ho dovuto lottare per riuscire a liberarmi di lui». Un inizio da favola e un epilogo da incubo. Seduta davanti al collegio del Tribunale di Viterbo una 32enne racconta mesi di minacce e botte ricevute dal fidanzato. L’uomo, un 45enne di Vetralla, è imputato di maltrattamenti, percosse, minacce e lesioni. La ragazza si è costituita parte civile insieme all’associazione Erinna. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, i due si sarebbero frequentati da ottobre 2013 a marzo 2014, quando i genitori della vittima chiesero l’intervento dei carabinieri. «Ci siamo conosciuti al bar dove lavoravo - ha raccontato lei - e abbiamo iniziato a uscire. All’inizio era gentile, sembrava il principe azzurro. Poi ha iniziato a diventare geloso. Troppo geloso e diverse volte è arrivato alle mani». La donna ha elencato tutti gli episodi di violenza. «Se gli dicevo che non volevo fare sesso perché ero stanca, iniziava a gridare che ero una prostituta, che non mi andava perché lo avevo fatto con gli altri. Una volta mi ha tirato un pugno nei reni, un’altra mi ha spinto la testa contro il vetro della macchina. Io volevo solo che finisse tutto e per paura che mi uccidesse acconsentivo». La prima a capire che qualcosa non andava è stata la migliore amica della vittima. «Dopo molto insistenza, mi sono confidata con lei. Ho anche fotografato i lividi che avevo e mi ha convinto a parlarne con i miei genitori. Io non volevo, avevo paura. Lui mi diceva che avrebbe ammazzato anche i miei, che non mi dovevo sentire protetta nemmeno a casa mia». La 32enne però ne ha parlato in famiglia. «Dopo l’ennesima sfuriata sono andata dai miei e lui mi ha seguita. Voleva salire, per fortuna è scesa mia madre e l’ha bloccato. Così con lei abbiamo deciso di mandarci messaggi in codice se ne avessi avuto bisogno».
Il messaggio arriva sul telefono della mamma il 4 marzo. «Le ho scritto “corri”.

Lui mi teneva chiusa in casa e con noi c’era anche mio figlio (avuto da una precedente relazione, ndr)». I genitori si precipitano e chiamano i carabinieri. «Siamo stati allertati - ha spiegato il vicebrigadiere - dai genitori e siamo andati sul posto. Abbiamo trovato il figlio fuori con i nonni e siamo entrati in casa. C’erano entrambi e la vittima era molto scossa. Tremava».

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