Omicidio al centro accoglienza, all'imputato 5 anni di condanna «non voleva uccidere»

Sentenza
di Maria Letizia Riganelli
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Martedì 9 Novembre 2021, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 13:15

Non voleva uccidere. La Corte d’Assise crede a Imade Robinson. Il nigeriano, assistito dall’avvocato Pasquale D'Incecco, che a giugno 2020 uccise il connazionale Eugene Moses è stato condannato ieri a 5 anni di carcere per omicidio preterintenzionale. I giudici togati e popolari dopo una lunga camera di consiglio lo hanno scagionato dalla pesante accusa di omicidio volontario, evitandogli una detenzione decisamente più lunga. Il pm Franco Pacifici aveva chiesto 20 anni di carcere.

Il 14 giugno 2020 nell’hotel Carpe Diem di Orte, adibito a centro migranti, scoppiò una violenta lite tra connazionali. Imade Robinson e Eugene Moses di 35 anni passarono in un attimo dalle parole ai coltelli e si affrontarono in un corridoio del piano camere. Robinson avrebbe prima parato un colpo poi si sarebbe difeso colpendo la vittima da sinistra verso destra. Un colpo mortale.

«Il coltello è entrato per circa 8 centimetri - ha affermato in aula il medico legale Massimo Lancia - entrando nello spazio intercostale, trapassando i polmoni per recidere l’aorta». Moses è morto dissanguato in pochi minuti. L’imputato dopo aver capito cosa era successo tentò di fuggire ma poco dopo tornò indietro e affrontò la realtà. Senza mai sottrarsi.

Ad ogni interrogatorio, ad ogni udienza ha sempre detto la stessa cosa: «Non volevo ucciderlo, volevo difendermi lui mi bullizzava da tempo».

Una versione che è stata confermata da tutti i testimoni del centro migranti, dai gestori agli ospiti. Secondo quanto ricostruiti tra i due non correva buon sangue. C’erano stati continui battibecchi e Moses sarebbe stato un tipo aggressivo. E poco prima dell’ultimo affronto l’imputato l’avrebbe sentito parlare al telefono di riti vudù che avrebbe dovuto compiere per procurare la morte proprio di Robinson. Non solo, durante la fase di indagini gli inquirenti ritrovarono diverse lame sporche di sangue ma da queste non fu estratto nessun dna. Motivo per cui potrebbe essere stato difficile capire a chi appartenessero i coltelli.

«Durante l’interrogatorio di garanzia - ha affermato D’Incecco, difensore di Robinson - spiegò tutto motivo senza tralasciare niente, chiesi di processarlo per omicidio preterintenzionale con rito abbreviato. Ma la richiesta non fu accettata perché l’accusa formulata dalla Procura fu omicidio volontario. Ma oggi la Corte d’Assise ha riqualificato il reato, riconosciuto la nostra richiesta e Robinson ha ottenuto lo sconto di un terzo della pena».

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