Matias ucciso a Vetralla, lo zio in aula ricostruisce il giorno del delitto: «Il padre era in soffitta, il corpo del bambino nel cassettone»

L'udienza in Corte d'Assise
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Martedì 24 Maggio 2022, 05:15 - Ultimo aggiornamento: 07:21

«Matias non mi rispondeva al telefono così sono corso a casa ma non apriva nessuno. Sono salito nella soffitta e li ho trovato il “maledetto“. Ho trovato Mirko con gli occhi sbarrati. Lo scuotevo ma non parlava. Chiamavo Matias ma lui ormai non c’era più». Matias era morto, accoltellato e soffocato con il nastro marrone da pacchi. E poi messo nel cassettone del letto cosparso di liquido infiammabile. Lo zio del bimbo di 10 anni arriva in aula per raccontare quel 16 novembre 2021. Giorno in cui Matias è stato ucciso dal papà nella casa dove viveva con la mamma a Vetralla.

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Prima la colluttazione in corridoio, poi la morsa del nastro da pacchi su tutto il volto e infine le coltellate.

Quattro: tutte dirette verso punti mortali. «L’ho preso io da scuola - afferma Ubaldo Marcelli sconvolto dalle lacrime e dai singhiozzi - e io l’ho portato a casa sua. Voleva andare lì perché la mamma gli aveva lasciato il pranzo e doveva fare i compiti». Il 45enne polacco è in aula, immobile all’interno dell’acquario, non alza mai lo sguardo. E’ alienato davanti alla Corte d’Assise chiamata a giudicarlo per aver ucciso il figlio dopo che era stato allontanato dalla sua famiglia per maltrattamenti sulla compagna. Il lungo racconto in aula inizia proprio dai maltrattamenti. Scattati d’ufficio su richiesta della pm Paola Conti, dopo che la donna aveva deciso di confidarsi con un’amica.

«Il 7 agosto 2021 - ha spiegato il comandante della stazione di Vetralla - ho ricevuto la telefonata di una ragazza che chiedeva aiuto e consigli per la mamma di Matias. L’ho fatta venire in caserma, qui è stata ascoltata da una collega. Ma non ho voluto sporgere denuncia». La mamma di Matias quel giorno era molto spaventata, nonostante fosse abituata alla violenza del compagno spesso ubriaco, si era confidata perché da sobrio le aveva detto: «Ti do fuoco e ti ammazzo». Parole che hanno convinto la Procura a richiedere subito la misura dell’allontanamento. «Dopo essere stata ascoltata in caserma - ha spiegato il maresciallo Stefania Landolfi - ho continuato a chiamarla e sembrava sempre tutto a posto. Anche il giorno prima dell’omicidio ci siamo sentite e lei non sapeva ancora quando sarebbe tornato».

La vicenda

Mirko Tomkow dopo essere stato allontanato dalla famiglia va a vivere a casa del cognato. Solo ad ottobre ha un cedimento e manda foto con una corda e scrive di volersi ammazzare. Poi, soccorso dal 118, scopre di essere positivo al Covid e viene trasferito in un hotel a Roma. La sua quarantena finisce proprio il 16 novembre, giorno in cui commette l’omicidio. A spiegare, minuto per minuto, i movimenti dell’imputato ci hanno pensato i carabinieri del Nucleo investigativo che grazie alle telecamere di videosorveglianza hanno ricostruito tutti i suoi movimenti. «E’ arrivato a Vetralla con il treno da Roma alle 11,29. Cinque minuti più tardi viene inquadrato da una telecamere in via Cassia. E’ a piedi e si dirige verso la sua auto. Alle 11,47 con l’auto va al supermercato. Poi parcheggia di nuovo e a piedi arriva in strada Luzi numero 6. Sono le 12,39». Da quella casa non uscirà più. Mirko Tomkow, stando ai rilievi, entra nell’appartamento prima del figlio, che uscirà da scuola alle 13,30. Entra con un mazzo di chiavi che la compagna lasciava in un vaso.

«La scena del crimine primaria è quella dell’ingresso. Qui abbiamo trovato gli occhiali rotti di Matias, le pantofole lontane un metro l’una dall’altra. Una lente e il cappellino da baseball. Segni di una colluttazione. Sulla stufa della cucina un coltello dello stesso set di quello trovato piantato nella gola del bambino. C’era un forte odore di benzina. Nella camera da letto, scena del crimine secondaria, abbiamo trovato il letto con contenitore aperto e dentro il cadavere di Matias. Disteso con ancora indosso il giubbotto invernale e il cappuccio calato sulla testa. Tutta la testa era avvolta dal nastro. Rimaneva fuori solo il labbro inferiore. In giro non c’era sangue. Segno che la coltellata è stata inferta nel letto».

L’esame autoptico stabilirà che le coltellate inferte sono state 3. Una diretta al cuore che è stato perforato, una alla gola e una terza all’anello cervicale. Tutte mortali. «La terza scena è quella della soffitta dove è stato trovato l’imputato privo di sensi. Accanto a lui il nastro marrone da pacchi, vodka, un altro coltello, il tappo di una tanica e un accendino perfettamente funzionante». Si torna in aula il 6 giugno, giorno in cui dovrà testimoniare la mamma del piccolo Matias.

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