Morte di Hassan, per la procura generale ci furono «imprudenza, negligenza e imperizia»

Mammagialla
di Maria Letizia Riganelli
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Sabato 4 Marzo 2023, 06:05

Imprudenza, negligenza e imperizia. Sono quelle le parole che la Procura generale utilizza per sintetizzare le presunte responsabilità nella morte di Hassan Sharaf. Del gesto del giovane egiziano, morto in seguito a un tentativo di suicidio avvenuto in carcere nel 2018, ne avrebbero colpa anche il responsabile di medicina protetta e l’allora direttore del carcere di Viterbo.

Tutto ruota infatti sul momento dell’isolamento, non solo perché in quelle ore Hassan ha messo in atto il suo suicidio ma anche perché il ventenne egiziano in quella cella non avrebbe dovuto esserci.

La Procura generale - che alcuni mesi fa ha avocato il caso ricominciando a indagare dopo che i magistrati viterbesi avevano chiesto l’archiviazione - con l’avviso di conclusioni indagini ha iscritto 6 nomi nel registro degli indagati, 4 rispondono di omicidio colposo e si tratta di Roberto Monarca, responsabile di Medicina protetta difeso dall'avvocato Massimo Pistilli, Pierpaolo D’Andria all’epoca dei fatti direttore del carcere di Viterbo, Elena Niniashvili, assistita dall'avvocato Fausto Barili, medico di medica protetta e Massimo Ricci, avvocato Giuliano Migliorati, agente delle penitenziaria responsabile della sezione dell’isolamento.

In particolare il dirigente Monarca avrebbe omesso di «prevedere e di effettuare un controllo efficace sullo stato di salute del detenuto», il medico Niniashvili avrebbe attestato «l’idoneità all’isolamento senza un appropriato colloquio clinico, con conseguente valutazione imprudente, negligente». Il direttore D’Andria, assistito dall'avvocato Marco Russo, non avrebbe assicurato la «corretta gestione dell’istituto e la puntuale e completa attuazione delle disposizioni di legge». L’assistente capo della penitenziaria Riccio invece, durante il periodo di isolamento di Hassan, avrebbe «omesso di valutare e segnalare il comportamento del detenuto in stato di agitazione e insofferenza e non avrebbe segnalato gli atti di autolesionismo».

Anzi avrebbe sferrato uno schiaffo al ragazzo facendolo urtare contro la parete. Gesto per cui si procede con un altro processo per abuso dei mezzi di correzione. Inoltre il direttore D’Andria e i due agenti Daniele Bologna, difeso dall'avvocato Giuliano Migliorati, e Luca Floris, assistito dall'avvocato Luca Chiodi, sono indagati per rifiuto e omissione di atti d’ufficio per aver «rifiutato un atto del loro ufficio che per ragioni di giustizia doveva essere compiuto senza ritardi».

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