Il suo sogno resta quello di andare ad allenare in Inghilterra. « Se possibile al Liverpool» ha confidato.
Cataldi una volta smesso l’attività agonistica, tra i pali ha iniziato quella preparatore dei numeri uno nella stagione 2007-2008 con la Pianese prima in Eccellenza e poi serie D; successivamente è passato al Siena in serie A dove ha trascorso tre anni, tra cui uno nella Primavera e successivamente è andato al Novara (una stagione in Lega Pro e due in B) e poi Bari in serie B e infine Verona, dove ha curato Silvestri risultato miglior portiere della serie cadetta nella scorsa stagione. In precedenza il riconoscimento era andato a Alessandro Micai con il Bari che ora è passato Salernitana sempre allenato da Cataldi. La sua ricetta è composta dell’essenziale.
Quale è il tuo obiettivo?
« Quello di migliorare l’uomo, migliorare l’atleta, migliorare il giocatore. In quest’ordine. Per me un portiere forte è prima di tutto un uomo vero e un grande atleta. Queste sono le premesse. Da queste due condizioni poi spunta fuori il giocatore. La base di partenza del lavoro è il rispetto, e il rispetto non è una parola vuota, ripeto, non è una parola vuota: si vive ogni secondo, in campo e fuori dal campo, con tutti quelli che ci circondano. Rispetto per la maglia che si indossa, rispetto per la società, per i magazzinieri, per i compagni di squadra, per l’allenatore, per il materiale con cui si lavora, ultimo ma non meno importante il rispetto per se stessi. Allora il lavoro comincia a prendere forma».
Come si svolge il tuo lavoro?
«La mia è un’attività di servizio. Mi metto a disposizione totale della squadra, dell’allenatore e naturalmente dei portieri. Mi avranno a loro fianco sempre, in qualunque momento. Di giorno e se serve di notte. Quello del giocatore, quindi anche del portiere, per me è un lavoro di dedizione. Mi dedico completamente a loro perché loro così si sappiano dedicare. Devono dare tutto di se stessi. Gli chiedo solo quello: tutto. Dentro al tutto c’è il lavoro quotidiano: pensare, sfinirsi, capire, agire, vivere. Forza, attenzione massima, cervello e passione. Da lì comincia il lavoro tecnico».
Sul campo?
« Il campo comanda. Il lavoro del portiere non è teorico, ma pratico. Studio la partita, la analizzo in tutto e per tutto, dalla parte tecnica alla parte emotiva, è dalla partita che maturo la metodica di allenamento. Per essere preparato il portiere deve allenarsi a tutte le situazioni che gli possono capitare. C’è un lavoro visibile, la parata, sicuramente importante, e c’è un lavoro invisibile che è ancora più importante: muoversi con la squadra, muoversi dentro la squadra, aiutare la squadra, respirare con la squadra. Occorre allenarsi con la mente accesa, con il cuore acceso, con l’anima accesa. Con queste componenti il lavoro tecnico diventa funzionale e produttivo: tanti obiettivi singoli raggiunti, tutti insieme fanno un portiere forte. E un portiere forte fa una squadra più forte»”.
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