Mafia, il racconto del pentito: «La banda puntava agli appalti del Comune». L'incontro con l'assessore

Un attentato incendiario messo a segno a Viterbo
di Maria Letizia Riganelli
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Domenica 29 Dicembre 2019, 15:42 - Ultimo aggiornamento: 15:44

La banda puntava in alto. Ai soldi e agli appalti del Comune. Ci sarebbe tutto questo dietro i tre attentati incendiari fatti alla famiglia dell’assessore comunale Claudio Ubertini. Tra il 2017 e il 2018 l’amministratore e i suoi due figli entrano nel mirino del sodalizio di Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi. A svelarne il motivo è il primo pentito della mafia viterbese Sokol Dervishi. Codino racconta. E le sue parole diventano macigni difficili da rimuovere.

«Giuseppe Trovato - afferma - mi disse che aveva incendiato la Smart di Ubertini perché quest’ultimo non aveva mantenuto fede alla promessa di affidargli tramite il Comune di Viterbo lavori di muratura». Promessa percepita come tale solo del calabrese, perché come spiega meglio in alcuni passaggi della deposizione l’allora consigliere si sarebbe limitato a dire “vedremo”.

L’auto, come ricorda Dervishi, fu materialmente bruciata da un pregiudicato napoletano da anni residente nella Tuscia e da un suo compare. Lo stesso che gli inviò anche una busta contente un proiettile come ammonimento.

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