Il calciatore viterbese Cori da Bergamo. «Qui cose mai viste. Giocare? Non ci penso».

Il viterbese Cori da Bergamo
di Marco Gobattoni
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Venerdì 20 Marzo 2020, 10:23
Nei giorni scorsi è arrivato l’accorato appello del direttore generale della Viterbese, Diego Foresti: lui da Bergamo – una delle città e province più colpite dall’emergenza coronavirus – ha voluto esortare i viterbesi a stare a casa. A Bergamo però, in queste ore drammatiche, vive anche un altro viterbese: Sacha Cori, attaccante dell’AlbinoLeffe, storico club nel campionato di serie C.

Nella serata di sabato 7 marzo, quando il decreto del Governo prospettava la chiusura di tutti gli spostamenti da e per la Lombardia, il centravanti viterbese è stato contattato dal club per tornare in sede.
«Sono state ore difficili – racconta Cori – quel sabato sera ero a casa con la mia famiglia e la società mi ha chiamato per farmi tornare in sede visto che in quel momento c’era un po’ di confusione sulle misure in arrivo. La mattina mi sono messo in viaggio da solo e sono arrivato a Bergamo dove mi trovo in questo momento».

Una Bergamo spettrale, dove le giornate – soprattutto la tarda serata – passano al suono delle sirene che trasportano i tanti malati nel principale ospedale provinciale Papa Giovanni XXIII. Sono fresche le immagini delle chiese piene di feretri con le camere mortuarie di ospedale e cimitero che non riescono più a contenere le salme.

«Sono nato nel 1989 e francamente mai avrei pensato di trovarmi a vivere una situazione del genere – parla con la voce provata l’attaccante viterbese – Bergamo è una città viva, molto operosa e sta affrontando con grande dignità e forza un evento che in pochi immaginavano. Le strade qui sono deserte e la gente sta osservando in maniera assoluta tutti i divieti imposti: ne verranno e ne verremo fuori con la città che sarà più forte di prima».
Questa situazione lunare, Cori, la sta vivendo da solo: lui ha due bambini un maschio e una femmina con i quali si cimenta in video chiamate fiume. «La mia famiglia è rimasta a Grotte S. Stefano – spiega il calciatore – ai miei figli stiamo cercando di non far passare un messaggio di paura. Io e mia moglie gli abbiamo detto la verità senza allarmarli troppo: il problema è mia madre; mi chiamerà dieci volte al giorno per dirmi di non uscire di casa».
Ma questo Cori lo sa e lo sanno anche i suoi compagni, tra i quali ci sono molti ragazzi giovani. «Fino a qualche settimana fa ho visto locali e ristoranti pieni, con i più giovani che forse – come molti altri – non hanno capito immediatamente la gravità del problema. La società ci è stata vicinissima: in squadra siamo otto calciatori in quota over (non nell’età giovanile) ma devo dire che i giovani che abbiamo nel gruppo sono stati di una serietà assoluta».
Pensare al calcio in questo momento risulta difficile. «Giocare è la cosa che ci piace di più, ma ora io non riesco a pensare al campo. Mi alleno in casa e ogni tanto vado a fare una corsetta al parco, deserto, sotto casa. A tutti mancano i riti della domenica e la vita dello spogliatoio: a giocare a calcio però, si dovrà riprendere soltanto quando saremo in sicurezza: in questo momento vince la paura, ma torneremo tutti a sorridere». Viterbo e Bergamo ancora una volta uniti da un pallone. 
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