L'interrogatorio del pentito: «La mafia a Viterbo voleva usare pure le bombe»

L'interrogatorio del pentito: «La mafia a Viterbo voleva usare pure le bombe»
di Maria Letizia Riganelli
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Lunedì 30 Dicembre 2019, 15:23 - Ultimo aggiornamento: 17:51
Non solo benzina. Ma anche pistole e bombe. C’è tutto il prontuario della criminalità nelle parole del pentito del sodalizio mafioso di albanesi e calabresi rinchiusi nei carceri di massima sorveglianza italiana. Il capo indiscusso, secondo il collaboratore di giustizia Sokol Dervishi, voleva portare a Viterbo il metodo della ‘Ndrangheta. «Quello era secondo me - afferma -. Io quello ho capito e mi stavo allontanando».

Prima che Codino prendesse le distanze dal gruppo ha partecipato a molti attentati alcuni andati a segno altri sventati dai carabinieri del nucleo investigativo che tenevano sotto stretto controllo i membri della banda. Uno di questi è quello che Trovato avrebbe voluto fare a un viterbese perché gli avrebbe mancato di rispetto durante una serata nella discoteca di Rebeshi.

«G.S. era ubriaco una sera in discoteca e ha detto una parola che non stava bene a Giuseppe. E lui era fatto così, non si doveva sgarrare». Il colpo però non riesce perché quando i membri della banda vanno a recuperare la pistola nascosta tra le campagne appena fuori Viterbo l’arma è sparita. Gregari e capi la cercano per giorni anche col metal detector ma non c’è traccia. La pistola fu sequestrata dai carabinieri che avevano captato le intenzioni del gruppo.

Ma quella non era l’unica arma in possesso di Trovato & Co. «Quella che abbiamo perso era di Trovato, la teneva perché era convinto che gli avrebbero fatto in qualsiasi momento una rapina. Anche Rebeshi ne aveva una - spiega -, che dava anche a Laezza. Forieri non ce l’aveva ma le puliva per il capo. Trovato ne aveva soltanto una, che quando è stato presa dai carabinieri lui mi disse: “Questa pistola me l’ha data mio cugino, non lo so magari è sporca chissà che mi fanno”». I cugini del capo sono i lametini Franco e Luciano Trovato, finiti in carcere in seguito all’operazione antimafia Perseo.

E’ da loro che il capo si presenta quando ha bisogno di aiuto e in una delle visite si fa accompagnare da Dervishi. «Abbiamo incontrato Franco - ha spiegato - a Lamezia Terme. Trovato ha parlato con lui ma non so cosa si sono detti. In quei giorni abbiamo dato fuoco alla macchina di un tale che Giuseppe pensava avesse bruciato due auto alla sorella. I parenti gli dissero di non farlo che era acqua passata ma noi prima di tornare a Viterbo lo abbiamo fatto lo stesso. Voleva fare un dispetto. Mi disse di non dire niente di questa cosa, perché non voleva che lo sapevano i suoi perché l’aveva fatto contro la loro volontà».

Le bombe invece il gruppo voleva usarle contro Paternollo, già vittima di un attentato con colpi di arma da fuoco. Secondo quanto spiegato progettavano di mettere bombe di propano da tre o quattro kg la notte di Santa Rosa del 2018. Anche in questo caso il colpo va a monte per l’intervento immediato dei carabinieri di Viterbo, che pochi mesi dopo portano capi e gregari del sodalizio mafioso in carcere.
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