Il Palio di Anastasio, artista di casa a Lubriano: ''L'ovazione dei senesi mi ha emozionato''

Il Palio di Anastasio, artista di casa a Lubriano: ''L'ovazione dei senesi mi ha emozionato''
di Simone Lupino
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Lunedì 15 Agosto 2022, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 16 Agosto, 20:50

Mentre Viterbo si prepara per il ritorno del trasporto della Macchina di Santa Rosa, domani a Siena è già tempo del Palio dell’Assunta. Per questa nuova edizione della corsa il Comune della cittadina toscana ha affidato la realizzazione del “drappellone”, il trofeo che viene assegnato alla contrada vincente, ad Andrea Anastasio, artista e designer di fama internazionale che da 22 anni ha casa nella Tuscia. Nato a Roma, ma lubrianese d’adozione. Lui ha già vinto: mercoledì scorso la sua opera svelata nell’androne del cortile del Podestà è stata accolta da una ovazione e tra gli applausi della comunità senese. “E’ stato un momento emozionante – racconta Anastasio al Messaggero – e molto particolare: chi fa un lavoro come il mio non è abituato a essere esposto a questo tipo di rito e all’espressione di un consenso o di un dissenso attraverso l’acclamazione o il rifiuto popolare”.
L’opera è stata definita rivoluzionaria, abbagliante per effetto delle paillettes. Teneva che non fosse compresa?
“Il timore era sulla tecnica: i senesi sono abituati a vedere drappelloni dipinti, io invece ho portato un drappellone tutto materia e a stampa digitale. L’innovazione è stata accettata, credo che abbia vinto anche il collage visivo. C’è un fondo di fiori che domina e questi punti che emergono: il volto dell’Assunta preso da Tiziano, i cavalli presi della quadriga di San Marco, i simboli delle contrade e poi Siena, sotto”.
Lei frequenta ormai da molti anni la Tuscia. Quando ha scoperto questo territorio?
“Venivo spesso da adolescente, perché avevo un amico molto caro a Orvieto. Poi io lasciato l’Italia nel 1992 e ho vissuto in Asia, in India, per molti anni. Ma già cercavo allora un posto dove appendere il cappello. Ho scelto questo luogo sapendo che quando sarei tornato in Italia difficilmente avrei potuto scegliere una città. Dal 2000 al 2015 sono stato a Bagnoregio, dove mi fermavo in periodi brevi quando tornavo dall'Asia o da altri viaggi, dopodiché sette anni fa mi sono spostato a Lubriano”.
Perché proprio Lubriano?
“E’ un luogo che mi corrisponde molto: mi piaceva questo fatto che fosse quanto di più vicino all’origine di un centro abitato, in fondo è una strada con alcune case che guardano la valle e altre che guardano l’interno. E’ un piccolissimo borgo ed è anche un palco tutto affacciato sul paesaggio. Sono molto felice di questa scelta. Non sono stanziale, ma quando torno sto molto bene qui. Ho deciso di trasferirci anche l’archivio, con il materiale e il lavoro di 30 anni sparsi per il mondo”.
In futuro pensa che le piacerebbe misurarsi nuovamente con un evento della tradizione popolare o religiosa?
“Sì, sono linguaggi che portano dentro la performance collettiva, sociale. Mi affascinano”.
La Tuscia ne vanta diversi. Uno su tutti: la Macchina di Santa Rosa…
“Il Trasporto è veramente bello. L’idea di una costruzione che unisce l’alto al basso, che ambisce al divino e che nel farlo si spinge fino al rischio, all’impossibile. Una architettura molto connessa alla luce, che cerca di unire quello che è separato per definizione: cielo e terra. Antropologicamente c’è un universo da indagare”.
 

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