Il no alla separazione delle carriere in magistratura, l'Unione camere penali: «Una pericolosa chiusura corporativa»

L'avvocato Francesco Petrelli
di Francesco Petrelli
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Sabato 8 Luglio 2017, 11:22 - Ultimo aggiornamento: 19:30
Separazione delle carriere in magistratura, dopo l’intervento del procuratore della Repubblica al tribunale di Viterbo, Paolo Auriemma, sull’argomento - ospitato su queste pagine lo scorso 24 giugno - pubblichiamo il contributo di Francesco Petrelli, segretario dell’Unione camere penali italiane.

«Definire “ingenui scimmiottatori” giuristi, filosofi e magistrati del calibro di Giovanni Conso e Sabino Cassese, del livello di Biagio De Giovanni, o dell’esperienza di Giovanni Falcone, che tutti si sono espressi a favore della separazione delle carriere, potrebbe sembrare soltanto un incauto scivolone, se non fosse che dietro questa opinione si cela qualcosa di più grave.

«Una visione del mondo e del processo arroccata su posizioni autoreferenziali, che sanciscono l’immutabilità del modello ordinamentale unitario, nel quale giudici e pubblici ministeri, controllore e controllato condividono avanzamenti di carriera e procedimenti disciplinari, scopi e strategie del processo. Un pericolosa chiusura corporativa che sta lentamente erodendo la legittimazione stessa del processo e della giurisdizione. Quella della partita di calcio è una metafora e come è noto le metafore sono strumenti di conoscenza costruiti su di una equazione: l’arbitro sta alla partita come il giudice sta al processo. Tutto qui.

«Il problema del nostro sistema processuale è che il giudice anziché essere terzo, come sta scritto nella nostra costituzione, indossa la maglia di una delle due squadre in campo. Chiunque comprende, assieme ai 50.000 cittadini che hanno già sottoscritto la proposta di riforma per la separazione delle carriere, che una simile organizzazione del processo penale costituisce una anomalia che ci distingue da tutti gli altri paesi europei, nei quali, in un modo o nell’altro, le carriere di chi accusa e di chi giudica sono nettamente separate.

« Avere un giudice terzo che sia ed appaia tale, che abbia una cultura del limite e sia garante dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini, senza mai confondere il processo penale con uno strumento di lotta a questo o quel fenomeno criminale, è davvero l’unico non trascurabile “fine ultimo” che ci si propone di realizzare. Il problema non è, infatti, come pensa il dott. Auriemma, il ridimensionamento o addirittura l’asservimento del ruolo dei pubblici ministeri, la cui autonomia ed indipendenza ci è molto a cuore e non a caso è garantita e tutelata in maniera netta ed inequivoca dalla istituzione di un proprio Csm, bensì la realizzazione di una nuova figura di giudice che sia legittimata proprio dalla sua terzietà.

«Che la sfida della modernità sia affidata alla riorganizzazione dei modelli democratici è cosa oramai nota, per cui non si spiega come mai un magistrato possa difendere un’idea autoritaria della giurisdizione non a caso radicata nella cultura del ventennio nella quale i prefetti controllavano i procuratori generali (come ricorda il dott. Auriemma) ma di giudici autonomi e indipendenti non se ne vedevano molti in giro.

«Si dice che non dovremmo illuderci di poter somigliare a quei paesi “di più remota democrazia” e dotati di “un più solido controllo sociale” che la separazione delle carriere l’hanno già realizzata da tempo. Dovremmo dunque acquietarci a restare un paese di incerta matrice democratica, un po’ illiberale e un po’ arretrato, ancorato al nostro sistema-giustizia paternalistico e obsoleto, nel quale controllori e controllati indossano e indosseranno per sempre la stessa maglia, contraddicendo con ciò non solo il buon senso ma anche un chiaro principio scritto in quella stessa costituzione che si dice di voler difendere».        

 
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