Non solo perché sulle opere di Palazzo Spreca è ancora in corso un procedimento giudiziario che vede alla sbarra il proprietario dell’immobile e un architetto, entrambi accusati di violazione delle norme sul patrimonio artistico, ma soprattutto perché la storia di quelle stesse opere ha fatto lavorare alacremente procuratori e amministratori con l’intento di riportarle a casa.
Un passo indietro. Nell’autunno del 2012 lo studioso Enzo Bentivoglio in visita alla mostra alla Biennale internazionale di antiquariato di Roma riconosce un affresco di un ciclo raffigurante le 14 virtù profane della fine del Quattrocento. Convinto che quell’opera appartenga alla città di Viterbo presenta una denuncia. Subito iniziano gli accertamenti della Procura e del nucleo di tutela del patrimonio culturale dei carabinieri. Ben presto si scopre che gli affreschi in mostra nella capitale sarebbero stati strappati da palazzo Spreca, in via Santa Maria Egiziaca.
L’inchiesta della magistratura approda a Spoleto, nello studio di un noto antiquario. Si tratta di Emo Antinori Petrini. Sarebbe lui il proprietario degli affreschi. L’inchiesta va avanti e gli affreschi vengono recuperati e riconsegnati al comune di Viterbo.
Le preziose opere d’arte, dopo il clamore per il ritorno a casa e gli applausi scroscianti degli amministratori di turno, finiscono nel “parcheggio” del Museo Civico. Sei anni esatti dopo, le opere sono pronte a lasciare, per l’ennesima volta, la città di Viterbo per tornare al legittimo proprietario.
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