«Giuro che io ti do fuoco con la benzina e poi mi ammazzo»

«Giuro che io ti do fuoco con la benzina e poi mi ammazzo»
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Giovedì 18 Novembre 2021, 06:15

«Giuro che io ti do fuoco con la benzina e poi mi ammazzo». Le parole di Mirko Tomkow, polacco 44enne indagato dell’omicidio del figlio Matias, risalgono a pochi mesi fa. Prima che il gip del Tribunale di Viterbo firmasse l’ordinanza per l’allontamento dalla compagna e dal figlio di 10 anni. Minacce, che a leggerle ora a poche ore dalla morte di Matias, sembrano reali e concrete. Anche alla luce del sequestro effettuato nella casa di Stradone Luzi, dove le forze dell’ordine hanno portato in laboratorio un lenzuolo imbevuto di benzina.

La storia dei maltrattamenti perpetrati nella famiglia Tomkow viene scoperta solo in estate, quando un confidente della donna chiede l’aiuto dei carabinieri di Vetralla. Racconta che la sua amica sta vivendo un inferno, mascherato dal sorriso che mostra in pubblico. I militari raccolta la segnalazione si attivano immediatamente e chiamano la donna. La mamma di Matias ci mette pochi minuti a crollare e racconta tutto. Racconta di quando e come sono iniziati quei maltrattamenti fisici e psicologici. La data è precisa: «quando ho scoperto di essere incinta».

L’evento che segna l’inizio delle aggressioni e delle violenze psicologiche coincide con la scoperta di aspettare un bambino. In quel periodo il 44enne perde la testa e il rapporto inizia a incrinarsi.

Non solo, perché iniziano anche le aggressioni e le minacce. Durante la gravidanza prende a calci il pancione e l’accusa di non volere più rapporti sessuali. Lei subisce passiva. E’ passiva anche quando la insulta davanti al figlio ormai cresciuto. Quando minaccia di ucciderla dandole fuoco.

I carabinieri di Vetralla chiedono alla donna di sporgere denuncia, provano ad aiutarla. Ma lei si rifiuta. Il procedimento, grave e troppo circostanziato, va avanti lo stesso. La pm Paola Conti informata sui fatti dai carabinieri decide di proseguire d’ufficio e chiede una misura cautelare.

E’ settembre, appena due mesi fa, quando il gip Giacomo Autizi firma l’ordinanza di allontanamento dalla casa familiare per Tomkow e il divieto di entrare nei luoghi frequentati da madre e figlio.

«Emerge - scrive il gip Giacomo Autizi - come l’indagato abbia realizzato condotte reiterate nel tempo, consistite in aggressioni fisiche, minacce di morte e ingiurie abituali. Il Tomkow si relazionava con la compagna nelle forme dell’aggressività e della violenza, isolandola socialmente. Maltrattava anche il figlio, costretto ad assistere a tali contegni lesivi».

La misura dell’allentamento in questi due mesi non sarebbe mai stata violata. Nessun aggravamento è stato disposto. Il controllo quotidiano dei carabinieri, che chiamavano la donna per assicurarsi della situazione, ha sempre dato esisto negativo. Fino all’altro ieri. Quando Tomkow ha ucciso suo figlio. Colui che reputava responsabile della fine del rapporto con la moglie.

«Questa storia ci insegna che le donne vittime di maltrattamenti e violenza - afferma il procuratore capo Paolo Auriemma - non devono avere paura. Siamo qui per aiutarle, noi le forze dell’ordine e tutte le associazioni che sono pronte a intervenire. Possiamo fare tanto. E siamo qui per questo».

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