Feto nel cassonetto, i periti: «Il farmaco ha provocato il parto non la morte dell'embrione»

Corte d'Assise
di Maria Letizia Riganelli
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Mercoledì 24 Febbraio 2021, 06:45

«Il Ciprodin ha provocato le contrazioni, ma non ha agito sul feto».
I periti concordano su tutta la linea e non lasciano dubbi.
Si è conclusa ieri, con l’esame del collegio di professionisti medici e del consulente della difesa, l’istruttoria del processo in Corte d’Assise che vede alla sbarra un infermiere di Tuscania. L’uomo, difeso dall’avvocato Samuele De Santis, è accusato accusato di aver aiutato Alina Ambrus ad abortire. Il cinquantenne deve rispondere di omicidio volontario, premeditato e aggravato e occultamento di cadavere in concorso ed esercizio abusivo della professione. 
L’ex ballerina romena per questi fatti è stata già condannata in via definitiva e dopo un lungo periodo di latitanza sta scontando la pena in un carcere di Londra. La Ambrus il 2 maggio 2013 dopo aver assunto del Ciprodin ebbe un “parto” nel bagno di casa a San Faustino. Poche ore dopo in preda a una forte emorragia chiamò l’amico infermiere per farsi portare in ospedale. Prima dell’arrivo al pronto soccorso la donna gettò nel cassonetto di via Solieri, nel quartiere Carmine, il corpicino della bimba che aveva partorito.
I super consulenti: il medico legale Giancarlo Carbone, il ginecologo Marco Sani e il tossicologo Alfio Cimino, ieri mattina, hanno risposto a tutte le domande della Corte.
«Il neonato, di 27-28 settimane, al momento della nascita era vitale. Proprio perché prematuro - hanno spiegato i periti - non riusciva a respirare autonomamente. Ma ha tentato di farlo ed è morto subito dopo. Probabilmente con l’assistenza necessaria in questi casi sarebbe sopravvissuto». Parole che hanno trovato d’accordo anche la consulente di parte Maria Rosaria Aromatario.
«Il farmaco preso dalla donna - hanno detto ancora - non ha avuto alcun effetto sul feto. Avrebbe potuto averne se fosse stato di 11 settimane. Ma nel caso in esame non lo ha minimamente toccato. Ha agito invece sulla muscolatura liscia dell’utero, provocando contrazioni e il conseguente parto in caso». Escusa anche la tesi del parto difficile. «Non ci sono elementi - ha spiegato la dottoressa Aromatario, consulente della difesa - per sostenere difficoltà nel passaggio del feto nel canale del parto. L’edema riscontrato sul capo del neonato non implica difficoltà nel travaglio, l’ipotesi, ma ribadisco resta un’ipotesi, è quella che alla nascita abbia urtato il water dove la donna disse di aver partorito. Anche secondo la mia esperienza il neonato alla nascita era vitale, ha tentato di respirare ed è morto».
Alla prossima udienza, fissata per il 30 marzo, pubblica accusa e difesa inizieranno la discussione.

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