Da Slow food e ambientalisti locali nasce un altro fronte anti-scorie

Da Slow food e ambientalisti locali nasce un altro fronte anti-scorie
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Giovedì 4 Febbraio 2021, 07:35 - Ultimo aggiornamento: 5 Febbraio, 13:11

A Corchiano non abbassano la guarda sul possibile arrivo delle scorie radioattive. A tenere alta l’attenzione sono il Comitato per la salvaguardia del territorio locale e della Tuscia, che si è costituito di recente, e la comunità di Slow Food Lazio, che ha una forte rappresentanza nell’agro falisco.

«E’ nascosto il motivo per cui sono state individuate 22 zone su 67 totali, in cui risulterebbe possibile realizzare una immensa discarica di rifiuti nucleari qui nel Lazio – rilevano dal comitato - e per cui tre di queste zone si trovano a Corchiano, che rappresenta con la sua superficie lo 0,003% dell’Italia intera. Abbiamo iniziato una ricerca sugli studi utilizzati, messa però in difficoltà da un accesso agli atti che ancora non possibile, da adesso in poi affiancheremo ogni forma di civile protesta».

Anche la rete di associazioni e comunità di Slow Food nel Lazio ha preso posizione contro la proposta della Sogin. «Si tratta di una vera e propria doccia gelata in un periodo depressivo, dal punto di vista economico e sociale a causa delle misure anti Covid - hanno sottolineato - rispetto alla quale non possiamo mostrarci indifferenti tenendo conto che questo territorio nel corso degli anni ha già subito ferite gravi di cui ancora oggi sono visibili i segni».

Il riferimento è alla costruzione, a Montalto di Castro, della centrale nucleare, all’utilizzo abusivo di numerose cave abbandonate, alla diffusione delle monocolture che hanno stimolato il ricorso ai fitofarmaci e il prosciugamento delle falde acquifere, all’esagerato utilizzo di migliaia di ettari di terreno agricolo per impianti di pannelli solari. «Il nostro è un no netto alla scelta della Tuscia per il deposito nazionale delle scorie radioattive - aggiungono - e ci batteremo in ogni modo per avere una soluzione sostenibile, partecipata e condivisa».

L’associazione ha ricordato che il Viterbese, grazie alla presenza prevalente di aziende agricole, molte delle quali biologiche, alla coltivazione di prodotti di eccellenza e all’incremento di piccole strutture ricettive per il turismo naturalistico ed enogastronomico «si è ricavata il ruolo di simbolo della bellezza».

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