Covid, cresce la rabbia dei ristoratori: «Basta sacrifici, fateci lavorare»

Covid, cresce la rabbia dei ristoratori: «Basta sacrifici, fateci lavorare»
di Luca Telli
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Martedì 13 Aprile 2021, 06:35 - Ultimo aggiornamento: 14:32

Chiusi da quattro settimane e con quindici giorni di serrata ancora davanti. La resistenza dei ristoratori davanti alla pandemia rischia di trasformarsi in una Caporetto. Risorse al minimo e spese maggiori delle entrate in un quadro di generale instabilità in cui alla lentezza dei ristori si unisce la stanchezza mentale degli imprenditori, rimasti aggrappati in questo ultimo mese ai numeri bassi di asporto e consegne e domicilio da soli non in grado di spingere la macchina a fine mese.

La soluzione, per Mario Di Dato chef del ristorante O’Sarracino di via Cavour, non può che passare da un’accelerazione sulle riaperture. «Dobbiamo tornare a lavorare. Non c’è un altro modo. Devono permetterci di farlo».

Un appello, l’ennesimo, che racconta la quotidianità di un mondo che non vede una schiarita all’orizzonte: «La pandemia non finirà di colpo. Ognuno di noi se lo augura ma l’eventualità che in autunno il problema possa ripetersi va tenuta in considerazione – continua Di Dato – Per questo diventa fondamentale aprire ora. Servirà per affrontare con più sicurezza i mesi difficili, sperando che non ce ne siano più».

La possibilità che da qualche giorno ha iniziato a prendere corpo di una riapertura graduale (orari ridotti e contingentamento) per la ristorazione dopo il 20 aprile, giorno in cui la questione sarà portata in Consiglio dei Ministri, lascia soddisfatta solo una parte delle aziende.

La ragione è nelle direttive contenute in seno alla proposta che garantirebbe il via libera solo a chi è in grado di offrire un servizio all’esterno del locale.

Fino a maggio infatti la somministrazione in sala sarebbe vietata mentre, anche dopo, resterebbero in essere prenotazione obbligatoria e distanziamento con un massimo di 4 persone al tavolo blocco, quest’ultimo, insostenibile e che non consente a chi rialza la saracinesca di poter 'far cassa'. 

«Il protocollo va alleggerito, mentre l’apertura solo all’aperto è un provvedimento da non prendere neppure in considerazione, non tutela la categoria ma solo una parte – spiega Giuliano Proietti dei Tre Re -. Il messaggio che passa è che chi ha un dehors a disposizione ha più diritto di tornare a lavorare: è una mancanza di rispetto».

Una deroga al decreto che di fatto impedisce il passaggio in zona gialla (e le riaperture) fino al 30 aprile sembra difficile. La decisione infatti dovrà tenere conto di due criteri fondamentali: l’andamento dell’epidemia e lo stato di avanzamento della campagna vaccinale. Anche nel caso in cui i dati provinciali fossero soddisfacenti poi non sarebbero decisivi per garantire il ritorno nell’area di rischio più bassa da calcolare su base regionale.

«Fasciarci la testa in attesa di quello che sarà non ci aiuterà ad uscire da questa situazione – spiega Michele Schirripa del Lab – Aspettiamo le carte ufficiali, intanto ci stiamo organizzando per una apertura in sicurezza».

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