Un euro e quaranta per un litro di latte a lunga conservazione, due per quello fresco e fino a due e cinquanta per le qualità senza lattosio o con maggiore contenuto di calcio, fosforo o vitamine. Prezzi da vertigine che continuano crescere nei supermercati, mentre lontano dagli scaffali si consuma il più grande dei paradossi «con un numero imprecisato di stalle che potrebbe chiudere a fine anno».
La denuncia arriva dal presidente di Confagricoltura Viterbo - Rieti Remo Parenti che punta il dito contro speculazione, crisi energetica a mancanza di interventi in sostegno del settore zootecnico «nel pieno di una tempesta perfetta che dura da un anno e mezzo e che negli ultimi decenni ha visto, nel nostro territorio, calare drasticamente il numero delle aziende: quelle rimaste sono ormai un centinaio». Un tessuto produttivo che rischia quindi di disgregarsi ulteriormente davanti ad una crisi feroce di cui non si conosce ancora l’autentica portata.
Spiega infatti Parenti come «allo stato attuale non è possibile fare un calcolo delle aziende minacciate. Potrebbero essere 1 o 2 su 10, come molte di più: la situazione evolve rapidamente in scenari difficili da ipotizzare». Certo è, invece, che le aziende da mesi lavorano in perdita nonostante il +74% che gli allevatori incassano per un litro di latte con il prezzo passato da 0,34 centesimi ad un media di 0,60 in pochi mesi. Briciole, taglia corto Parenti «che se potevano essere utili in un momento di normalità oggi risultano del tutto inefficaci».
Una valanga di aumenti, precisa Parenti, che si sono abbattuti in maniera trasversale colpendo, tra le tante voci, duramente i prodotti per l’alimentazione con il boom dei costi di soia e mais (che rappresentano il 70% dell’alimentazione bovina) sui cui hanno inciso a più riprese: pandemia, guerra in Ucraina e da ultima la pesante siccità responsabile del crollo della produzione. Una via d’uscita, secondo Parenti, passa da una serie di interventi in cui l’elemento cruciale è il tempo. «Le bollette devono scendere perché è l’unico modo per abbassare la pressione sulla aziende – conclude Parenti -. Molte aziende hanno valutato anche gli abbattimenti dei capi per sopravvivere e questo non lo possiamo permettere. Serve attenzione per il settore primario e nuove logiche per il mercato», perché a pagare la crisi non siano sempre i primi e gli ultimi della filiera.