Medico viterbese e l'esperienza al San Donato di Milano: «Ho visto pazienti morire di fame d’aria»

Medico viterbese e l'esperienza al San Donato di Milano: «Ho visto pazienti morire di fame d’aria»
di Ugo Baldi
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Venerdì 24 Aprile 2020, 12:15 - Ultimo aggiornamento: 19:11
Tra i medici in prima linea nella battaglia contro il coronavirus in Lombardia, la regione più colpita in Italia, c’è anche il viterbese Valerio Mecarocci. Il cardiologo di Civita Castellana, che lavora al Policlinico San Donato a Milano, dal momento che è scoppiata la pandemia ha deciso di essere al fianco dei colleghi di terapia intensiva.

«Quando sono venuto a conoscenza che erano in difficoltà – dice Mecarocci - ho capito che quello era il luogo dove avrei combattuto la mia battaglia contro un nemico diabolico. Ho ottenuto il permesso dal primario, il professor Carlo Pappone, di prestare servizio al fianco dei colleghi e non smetterò mai di ringraziarlo per l’esperienza che mi ha permesso di fare e per la fiducia accordata». Mecarocci è uno specialista in cardiologia, ma durante il mio percorso formativo ha frequentato per due anni la terapia sub-intensiva ed intensiva Cardiologica e cardiochirurgia del policlinico Universitario di Careggi, Firenze, dove si è specializzato.

«La paura è stata un elemento costante in questa battaglia – ammette - ed è stata la stessa paura a risvegliare il mio coraggio e quello dei colleghi. Chi è rimasto in servizio in ospedale lo ha fatto volontariamente e con spirito di abnegazione assoluta. Nessun eroismo, solo senso del dovere». Tra le tante esperienze di questi mesi che ha vissuto c’è stata anche quella della trasformazione del San Donato. «In pochi giorni è diventato come un campo di battaglia – racconta – con interi dipartimenti riconvertiti in unità di cura dei pazienti affetti da coronavirus che aumentavano di giorno in giorno». 

Resterà indelebile il rapporto con i pazienti: «Non dimenticherò il rapporto umano – dice ancora Mecarocci - e le telefonate a casa dei familiari, per informarli delle loro condizioni di salute e talvolta, purtroppo, del peggioramento. Ho visto giovani e anziani soffrire la “fame d’aria” e ansimare, li ho visti morire. Ma anche risorgere e dedicarci un sorriso in grado di cancellare ogni fatica».

Per il medico, «nella sua perversità questa malattia ha tolto al malato la dignità di morire circondato dalle persone care. In molti casi siamo riusciti a fare la differenza, in altri no, e per quanto abituati da medici ad un rapporto quotidiano con la morte, ognuno di noi è stato costretto all’angolo».

Importante è stato anche il sostegno della famiglia nella battaglia contro il virus. «Sento il dovere – ha concluso – di ringraziarla. A partire da mia moglie, che ha compreso la scelta, così come mio padre medico e mia sorella, farmacista, come me in prima linea per vincere questa battaglia Si vincerà? L’unico modo è quello di evitare che il virus circoli tra noi in assenza di un vaccino». 
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