Ceramica dalla Cina con marchi falsificati, nuovo sequestro a Civitavecchia

Ceramica dalla Cina con marchi falsificati, nuovo sequestro a Civitavecchia
di Ugo Baldi
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Martedì 13 Marzo 2018, 10:38 - Ultimo aggiornamento: 19:09
Lotta al falso made in Italy: nuovo sequestro, per 600 articoli in ceramica sanitaria, di prodotti provenienti dalla Cina nel porto di Civitavecchia. Si tratta di due container che contenevano water, bidet e lavabi, imbarcati da una nave mercantile nel porto cinese di Shenzhen Yantian, circa un mese fa, e destinati al mercato italiano. L'importatore, che è anche produttore ceramico, è lo stesso e opera nel distretto di Civita Castellana.

A bloccare il carico - valore di ventimila euro - sono stati i funzionari dell'Agenzia delle dogane del porto tirrenico, diretti da Luca Turchi. Nel corso di un controllo sono state riscontrate lacune nei documenti, oltre alla falsa marcatura Ce riportata sui prodotti. L'accusa per il destinatario è quella di aver presentato false attestazioni, in violazione agli articoli 482 e 483 del codice penale per vendita di prodotti industriali con segni mendaci. «I certificati presentati in dogana dice la stessa Agenzia - in seguito dell'esame effettuato dai funzionari preposti al controllo e alla successiva conferma dell'ente, sono risultati falsi».

Gli atti sono stati trasferiti alla procura della Repubblica di Civitavecchia, e si aggiungono a quelli già in possesso alla magistratura viterbese: le due procure stanno indagando da tempo sull'importazione di ceramica dalla Cina. A fine febbraio, all'interporto di Orte, era stato sequestrato un container con sanitari marchiati Made in Italy e destinati al mercato della grande distribuzione.

Il secondo sequestro dimostra che l'attività investigativa va avanti: tra i due casi c'è un collegamento diretto. Mentre la merce di Orte è ancora bloccata, quella scoperta a Civitavecchia una volta regolarizzata sarà immessa sul mercato. Resta quindi alta la preoccupazione nelle aziende
del distretto ceramico viterbese, in particolare tra quelle (il 98%) che producono in Italia ma che devono fare i conti anche con la concorrenza sleale. Le associazioni di categoria (Unindustria e Federlazio) hanno espresso le loro preoccupazioni, chiedendo di fare piena luce sul fenomeno.
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