Giancarlo Carloni al traguardo delle mille panchine. «Come alleno? Serve concretezza»

Giancarlo Carloni al traguardo delle mille panchine. «Come alleno? Serve concretezza»
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Mercoledì 11 Maggio 2022, 12:20 - Ultimo aggiornamento: 13:18

Mister mille panchine. Giancarlo Carloni (75 anni tra un mese) domenica entra nel ristrettissimo club degli allenatori di calcio con un numero di presenze che pochi possono vantare.

L’attuale tecnico del Castel Sant’Elia, squadra di Prima categoria, taglia il traguardo a quattro cifre contro la Maremmana. La sua vita è tutto pane a pallone. Dopo una carriera da calciatore tra i professionisti iniziata con la Roma (esordio in A nel '67) ha chiuso, dopo aver girato mezza Italia, a Messina nel 79. Nell’80 ha iniziato quella di allenatore a Campobasso. Altri dieci anni tra i professionisti ,tra Lazio e Campania, e tre in serie D.

Dal 93 è sceso tra i dilettanti e da allora ha navigato tra Eccellenza, ( Sorianese, Capranica, Foglienese ecc..) Promozione, Prima e seconda categoria fino ad oggi. «Domenica finalmente arrivo a questo traguardo rinviato di due anni a causa del Covid – dice – è un regalo per me e per la mia famiglia che mi è stata sempre vicino. Certo un grazie va anche a tutte società chi mi hanno dato fiducia in questi tanti anni di carriere altrimenti non avrei festeggiato»”.

Non manca a questo punto uno sguardo alle soddisfazioni messe in bacheca. «La più bella stagione è stata quella di serie D ad Acilia dove ho vinto il campionato- racconta - una corsa fantastica.

A Soriano invece ho trascorso stagioni indimenticabili». Carloni è ribattezzato il “Mazzone della Tuscia”. «E’ un vanto aver conosciuto Carletto – dice – mi ha allenato e insegnato a diventare un vero giocatore e uomo. Le sue idee mi sono state utili per trasmettere la grinta, la passione e la voglia di vincere ai ragazzi. Applico le sue tesi, sono sempre d’attualità e i giocatori le recepiscono facilmente».

Quale mentalità trasmette ai calciatori? «La concretezza: si deve badare al sodo la domenica, ed essere umili. Bisogna essere chiari con i ragazzi e fargli capire che il dilettantismo, non è il professionismo. Ci si allena tre volte alla settimana, prima c’è il lavoro e quando si vince si mangia la pizza; lo spirito deve essere questo nelle nostre categorie, inutile scimmiottare quelle superiori».

I giocatori che gli sono rimasti nel cuore sono stati molti in questi anni. «Tanti – dice ancora – e con molti di loro mi sento ancora si è creato un rapporto di amicizia. Io sono franco e schietto. Senza fare torti a nessuno, nel Viterbese credo che Stefano Del Canuto, Graziano Mannari e Laert Mandro siano stati, a livello tecnico, i migliori che ho incontrato. Il futuro? Sempre in panchina».

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