Auto a fuoco e teste mozzate, il marchio di fabbrica del clan. Da Camilli al Theatrò: chi ne ha fatto le spese

Auto a fuoco e teste mozzate, il marchio di fabbrica del clan. Da Camilli al Theatrò: chi ne ha fatto le spese
di Renato Vigna
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Sabato 26 Gennaio 2019, 11:49 - Ultimo aggiornamento: 16:57

Un marchio di fabbrica unico: le auto carbonizzate. Era questo il segno distintivo dell'associazione a delinquere di stampo mafioso stroncata dai carabinieri di Viterbo. Ieri mattina i militari, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Roma, hanno dato esecuzione a 13 arresti. Tutti personaggi legati e con un unico scopo: intimidire, estorcere e cementificare il predominio indiscusso del boss locale Giuseppe Trovato nel mercato dei compro oro.

In due anni l'associazione guidata a Trovato, con l'aiuto di Ismail Rebeshi albanese residente nel capoluogo, ha portato a segno 50 atti intimidatori. Il copione era sempre lo stesso: avvisare, terrorizzare e costringere a chiudere il negozio. Si comincia l'8 aprile 2017. Il bersaglio è il compro oro di Gabriele Petrini. Prima va a fuoco la sua auto, poi l'escalation. A giugno gli arriva una testa di agnello mozzata. Ma il commerciante non capisce. E a novembre viene carbonizzata un'altra auto e due giorni dopo in negozio c'è l'ennesima testa di animale grondante sangue. Petrini si convince, chiude il negozio. La strategia messa in atto funziona e il sodalizio continua la missione.

Tutti i commercianti di compro oro finiscono nella rete e tutti subiscono incendi dolosi. I più restii anche colpi di arma da fuoco contro la vetrina. Il primo aprile 2017 tocca all'auto di Emanuele Abatecola, procacciatore di affari e clienti per gestori compro oro concorrenti. Non sono immuni nemmeno i carabinieri che indagano: a due di loro viene carbonizzata l'auto. Chiudono i battenti i compro oro di via Garbini, via Genova, piazza San Faustino. E tutti per lo stesso motivo.

Ma se l'oro è il chiodo fisso del capo, la movida è quella del suo braccio destro Ismail Rebeshi. I locali, specie quelli frequentati dai ragazzi di origine romena, iniziano ad essere presi mira. Il modus operandi è lo stesso: saltano le auto e arrivano le teste mozzate. E per chi non capisce Rebeshi non la manda a dire: «Ricordati queste parole - dice al gestore del Theatrò - la prima volta che ti vedo con chi stai io ti sbudello. Ti troverò, io me la prendo anche con un bambino di un anno». L'albanese, noto per il terrore che infonde, non scherza. L'interlocutore lo sa e la discoteca chiude.

LE VITTIME
Nel mirino anche noti professioni viterbesi. Tutti colpevoli di avere a che a fare con i nemici del sodalizio criminale. Tocca prima all'avvocato Alabiso a cui va a fuoco l'auto, poi al commercialista e politico Ubertini. Al consigliere due auto prendono fuoco, poi gli arriva una lettera dai toni caldi. Non viene risparmiato Roberto Grazini, titolare di una società di traslochi. Secondo gli inquirenti a commissionare l'incendio doloso sarebbe stato Laezza (anche lui arrestato). I Laezza a Viterbo gestiscono un'impresa di traslochi concorrente. Va a fuoco anche l'auto del direttore delle poste Boccolini. Un caso? Nemmeno per niente, secondo gli inquirenti anche il direttore è finito nel mirino della banda. Avrebbe chiuso un conto corrente al boss.

Il nome a sorpresa che si legge nelle carte dell'inchiesta è quello di Piero Camilli. L'imprenditore e patron della Viterbese sarebbe stato vittima di un tentativo di estorsione direttamente dal boss. «L'intimidazione, - spiegano gli inquirenti è stata consumata in puro stile mafioso». A contattare l'imprenditore è stato direttamente il boss che senza giri di parole gli spiega come va il mondo: «Il mio cognome non è importante. Se diventiamo amici te lo dirò. Se siamo nemici non te lo dico, perché - dice Trovato - con me potete diventare amici o nemici e meglio se diventiamo amici Camì».

L'inchiesta è stata coordinata dai pm Fabrizio Tucci e Giovanni Musarò, a firmare le ordinanze lo stesso gip di Mafia Capitale.
 

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