Ascanio Celestini presenta sulla scena il Museo Pasolini

Ascanio Celestini presenta sulla scena il Museo Pasolini
di Carlo Maria Ponzi
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Venerdì 3 Dicembre 2021, 06:55

Alla vigilia del centenario della nascita (Bologna, 5 marzo 1922) comincia a risuonare il nome di Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, regista, polemista e altro ancora.

Il più lesto a confezionare un evento su Ppp è Ascanio Celestini (attore teatrale, regista, scrittore) che oggi (Tarquinia, Teatro Falk, ore 21) è in scena con “Museo Pasolini”. Un testo che affastella le testimonianze di uno storico, uno psicanalista, uno scrittore, un lettore, un criminologo, un testimone che l’ha conosciuto, e pone due domande: qual è il pezzo forte del Museo? Quale oggetto e/o pagine dobbiamo cercare?

Forse la sua prima poesia, scritta a 7 anni, dove compaiono “rosignolo” e “verzura”. O delle “Ceneri di Gramsci”. O il film “Il Vangelo secondo Matteo”. O l’ultima sua pellicola, “Salò o le 120 giornate di Sodoma “, girata alla vigilia della tragica morte (2 novembre 1975) all’Idroscalo di Ostia. Le risposte a tante domande le fornirà lo stesso Celestini, inimitabile affabulatore.

Ma lo spettacolo potrebbe al contempo rappresentare il “la” di iniziative che ricordino il lungo e proficuo rapporto che lo Ppp intrecciò con la Tuscia, anche a livello di battaglie di “progresso”, come quella legata all’istituzione dell’ateneo statale. Un rapporto che sostanziò nelle immagini di suoi film più celebrati: “Uccellacci e uccellini” (1966) con Totò e Ninetto Davoli, girato a Tuscania; il “Decameron” (1971): nell’episodio dove Andreuccio da Perugia e due ladri entrano per depredare la tomba di un vescovo compare la Basilica di Castel Sant'Elia.

E poi il citato “Vangelo” (1964) a Chia, la piccola frazione di Soriano nel Cimino, dominata dalla torre del Fosso Castello, scoperto proprio per girare – tra le acque del torrente sottostante – la scena del battesimo di Gesù e poi acquistata nel 1970.

L’amore esclusivo per Chia fu scolpito in due poesie: «Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti,/ che io vorrei essere scrittore di musica,/vivere con gli strumenti/ dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare,/ nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto/sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta/innocenza di querce, colli, acque e botri…».

E poi ancora, in friulano: «Il soreli a indora Chia/cui so roris rosa,/ e i Apenins a san di sabia cialda./ Jo i soj un muuàrt di cà/ch’al torna/vuei Sinq di Mras dal 1974/ta un dì di fiesta/» (Il sole indora Chia con le sue querce rosa, e gli Appennini sanno di sabbia calda. Io sono un morto di qui, che torna, oggi Cinque marzo 1974, in un giorno di festa).

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