Con Vittorio Sgarbi sul palcoscenico Raffaello diventa uno show

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Raffaello raccontato da Vittorio Sgarbi è un viaggio nella storia dell'arte tra slanci poetici, arringhe irriverenti, confronti tra geni, retroscena curiosi e una buona dose di ironia. Affabulatore e appassionato, il critico d'arte torna in teatro con il suo personale omaggio al Divin Pittore con cui aprirà la stagione del Teatro Olimpico di Roma dal 9 al 13 ottobre. E con cui celebrerà, nel 2020, il cinquecentenario della morte. «Raffaello è la più rognosa delle mie avventure teatrali. È un genio assoluto, il più grande e il più complesso, ha vissuto appena 37 anni, ma già nel 1504, a 21 anni, aveva raggiunto la perfezione con lo Sposalizio della Vergine di Brera. Raffaello è uno che dipinge 50 Madonne e non ce n'è una uguale all'altra. Con l'Estasi di Santa Cecilia e gli strumenti ai suoi piedi dipinge la prima natura morta». Sgarbi indugia sul fanciullo di Urbino rimasto orfano di padre ad appena nove anni (la mamma morirà poco dopo), cresciuto alla bottega del Perugino, divenuto il prediletto (in equilibrio con Michelangelo) dei papi Giulio II e Leone X, madonnaro e ritrattista superbo.

LE PULSIONI CARNALI E poi l'exploit, nello stile di Sgarbi, sorprendendo il pubblico con la rivelazione di quelle pulsioni carnali che resero Raffaello «schiavo del sesso». Ad offrire l'appiglio aneddotico, in quel racconto placido di bellezza e perfezione, è il biografo Giorgio Vasari, bontà sua: «Vasari racconta che non può dipingere senza appagare i suoi sensi - insiste Sgarbi - Nel 1517, quando non gli portano la Fornarina, si mette a fare i capricci perché non può fare sesso con lei». «Raffaello è il nostro più grande pittore. Dipinge in presenza di Dio. Anzi è come se Dio fosse nel suo pennello. Prolunga il tempo della Creazione. Ha un solo punto dove appigliarsi per il racconto: la sua ossessione maniacale per il sesso e le donne. Una sorta di Strauss-Kahn del 500». E nello spettacolo di immagini e parole, scandito dalle musiche di Valentino Corvino ispirate ai sonetti del maestro, con il contributo di sei giovani videomaker, il leitmotiv delle donne è dominante: «La femminilità ideale è corretta, contaminata, da tratti di fisionomia forte - riflette il critico d'arte - Raffaello lavora con le donne, le fa vedere. Sono ritratti parlanti». E il rapporto con gli altri grandi della sua epoca? «Michelangelo è universale. Leonardo è meraviglioso perché è un incapace totale, un dilettante - una specie di Di Maio che senza aver mai lavorato crea il diritto di cittadinanza - che fa quattro dipinti, uno più brutto dell'altro, ma unici nei concetti. E Raffaello è talmente legato a Leonardo che lo schema della Gioconda diventa un riferimento per creare figure meravigliose». E nella galleria sublime di opere indagate da Sgarbi, spiccano anche i due capolavori del Louvre che grazie all'accordo del ministro Dario Franceschini con la Francia, saranno prestati per la grande mostra di Roma: «Il Baldassarre Castiglione, per me il più bel ritratto al mondo - commenta Sgarbi - E l'Autoritratto, in cui Raffaello somiglia un po' a Depardieu, con davanti un giovane, che sembra chiamare le ragazze per lui». E dopo Raffaello? «Dante nel 2021, per i 700 anni della morte e per far dimenticare Benigni. Un Canova nel 2022. Ma soprattutto, Artemisia Gentileschi, troppo divertente. E gli Invisibili, quei maestri come l'Ortolano o Saturnino, bravissimi ma sconosciuti». di Laura Larcan - Video Andrea Giannetti/Ag.Toiati