Albero caduto e dimenticato, Dacia Maraini chiama il Messaggero: «Simbolo di una Roma che ci lascia soli»

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Di Dacia Maraini - Quell'albero sta lì da due mesi, ammucchiato con i suoi rami e le sue foglie secche, sul marciapiede all'angolo tra via Beccaria e via Vico. È caduto in un giorno di vento e pioggia e nessuno l'ha portato via. Sono passati due mesi e nessuno è venuto a prenderlo, la gente deve fare un giro per scansarlo. Una strada a pochi metri da piazza del Popolo prigioniera di un albero. L'abbiamo visto seccarsi e cambiare colore, adesso le foglie sono appassite e marroni. Basta niente perché prenda fuoco, un mozzicone di sigaretta buttato in strada e potrebbe scoppiare un incendio che investirebbe le auto parcheggiate e gli alberi vicini. Chi, come me, abita in questo angolo del Flaminio lo guarda con timore e anche sconforto.

Due mesi di telefonate al Comune e al Servizio Giardini, di richieste di aiuto e messaggi. Finora è stato tutto inutile. Nessuno ci ha dato ascolto. Ho fatto tante chiamate, ho inviato messaggi , ma non ho mai avuto risposta. Con me si sono mossi molti altri residenti della zona, ma la nostra mobilitazione non è servita a nulla. Abbiamo implorato i vigili urbani di darci una mano perché un albero non può restare in mezzo alla strada per due mesi. Non è nostra competenza, ci è stato risposto. Spetta al Servizio giardini rimuoverlo. E di nuovo a chiamare il Servizio Giardini, ma sembra quasi che sia un ufficio fantasma. Nessuno mai risponde.

Un portiere della zona ha proposto: facciamo tutto noi, raccogliamo i soldi prendiamo in affitto un furgoncino e portiamo via l'albero a nostre spese. Non si può, hanno spiegato i vigili, non compete a voi: ogni albero è numerato e appartiene al Comune. Sembra di stare in una commedia di Gogol. Il delirio della burocrazia. E noi qui, costretti a convivere con i rami secchi e le foglie scolorite che ci bloccano il passo.. Inascoltati da chi del decoro della strade e della nostra sicurezza dovrebbe occuparsi. Quando piove fra l'altro le foglie cadute ostruiscono le caditoie e la strada si allaga. 

Due mesi senza risposte sono troppi. Mi sento una cittadina abbandonata. Non mi interessa chi è al governo della città, non ne faccio una questione politica ma di senso civico. Vedo questa città abbrutirsi, ascolto le lamentele di tanti che non ne possono più delle buche, della sporcizia, degli alberi che vengono giù e restano a terra.

Ho vissuto da vicino cosa vuol dire affrontare quotidianamente queste insidie: mia nipote ha avuto un incidente col la moto per colpa di una buca ed è finita in ospedale con il bacino rotto. Vedo scomparire il senso della comunità, la gente si lagna ma non riesce a organizzare una protesta collettiva. Prevale l'individualismo e fatica a farsi strada una protesta collettiva.

Vedo il quartiere Flaminio, che ho scelto perché è tra il fiume e il verde, diventare sempre più anonimo, rinunciare alla sua identità. Le botteghe artigiane sono sparite, gli artisti sono andati via. Adesso ci sono soprattutto uffici e sempre più minimarket con le luci al neon.

Il viale che attraversa Villa Borghese è diventato un parcheggio: 20-30 pullman turistici parcheggiati a ridosso di quello che era il parco dei romani. Su lungotevere Arnaldo da Brescia un giardino è scomparso per far posto a un cantiere mai finito, adesso è una pattumiera. Vedo ogni giorno, da due mesi, l'albero di via Beccaria sul marciapiede. E mi chiedo ogni giorno per quanto ancora sarò costretta a vederlo lì.