Alice, italiana a Londra: «Coronavirus? Mi prendevano per pazza»

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Alice ha 32 anni. Da quasi cinque ha lasciato Milano e vive con il marito, anche lui italiano, nei dintorni di Londra. La vita da expat non è mai rosa e fiori. E non è decisamente semplice ora, nel pieno dell’emergenza Coronavirus che in Regno Unito «sembrano ignorare, per loro il problema non esiste- racconta la giovane italiana - Nelle settimane scorse ne ho parlato con colleghi e conoscenti: venivo presa per pazza e esagerata. Le misure forti a quanto pare non servivano perché – come amano ripetere – l’Inghilterra non è l’Italia». «I pub sono ancora pieni di gente, - fa notare Alice. – Il discorso di Johnson che invita a evitare gli assembramenti è contradditorio perché pub e ristoranti sono aperti. Chi ha buon senso non ci va, ma c’è chi continua ad andare e quindi la situazione non si risolve. Al contrario però gli inglesi svuotano i supermercati: manca di tutto, dalle uova alla carta igienica. I miei genitori mi dicono che in Italia i negozi sono forniti, mentre qui non riforniscono nemmeno gli scaffali il mattino. Per non parlare poi di mascherine, guanti e amuchina: mio marito ha trovato una boccetta a 8 sterline».

E intanto cresce anche la preoccupazione per i servizi forniti dal NHS, rispetto alla sanità italiana: «Non c’è paragone. Il sistema sanitario qui è vicino al collasso, probabilmente lo era già prima. Due colleghi hanno avuto sintomi da Coronavirus, ma nessuno è venuto a casa a controllare o a fare un tampone» Ci sono stupore e rabbia nelle parole della ragazza milanese: «Io ho sempre cercato di essere positiva, ma devo confessare che domenica mi sono sentita molto sola, abbandonata da questo Paese che pur abbiamo scelto per vivere e lavorare. Vedendo quello che stanno mettendo in piedi gli Italiani, dal flashmob alla bandiera, quasi mi verrebbe voglia di tornare per stare lì con tutti gli altri, perché qui non sarà così, saremo soli». Alice poi rincara: «Nonostante abbia cercato di spiegare la situazione usando esempi delle nostre famiglie – come i miei genitori che stanno lontani dai miei nonni per paura di possibili contagi – qui è come parlare con il muro: rispondono sempre che questa non è l’Italia e hanno fatto prevenzione, intendendo le campagne per lavarsi le mani, come se noi non lo avessimo fatto. Altri invece sostengono che tanto finirà così per tutti: ma dato che purtroppo abbiamo un esempio, perché non cercare di fare qualcosa? Nessuno vuole stare in quarantena in casa, ma se lo facessimo adesso, forse l’emergenza potrebbe durare di meno. O forse è già tardi. È tutto molto frustrante».

Caterina Carpanè