Vaticano, l'ombra di Maciel sul vertice anti pedofilia

Vaticano, l'ombra di Maciel sul vertice anti pedofilia
di Franca Giansoldati
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Giovedì 21 Febbraio 2019, 09:37 - Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 13:44

CITTÀ DEL VATICANO Ieri mattina a ridosso del colonnato, fuori dal cancello di un edificio, Peter Saunders, vittima di un prete pedofilo e attivista nella causa contro gli abusi, protestava garbatamente chiedendo spiegazioni sul perché il Vaticano gli avesse sbattuto ancora una volta la porta in faccia impedendogli l'ingresso. Dentro, una dozzina di vittime precedentemente selezionate con cura, venivano ascoltate dal comitato organizzatore del summit sugli abusi (che si apre stamattina con un discorso del Papa).

Prima o poi qualcuno dovrà chiarire a Saunders i motivi per cui è stato escluso da quel protocollo, proprio lui che aveva fatto parte della Pontificia Commissione sulla protezione dei minori, e che, tre anni fa, aveva dovuto lasciare pagando il suo coraggio nel criticare il cardinale Pell, all'epoca potentissimo, oggi imputato in due processi e condannato in Australia per una vicenda di pedofilia. Saunders disapprovava l'atteggiamento, a suo avviso sfuggente, di tante strutture vaticane accusandole di dimostrarsi forti con i deboli, ma deboli con i forti.

DEMONIO
La stessa sensazione che non abbandona Alberto Athiè, messicano, ex sacerdote, una delle centinaia di vittime di Maciel Marcial Degollado, il fondatore pedofilo dei Legionari di Cristo, paragonato da molti a un demonio. Fu punito solo nel 2006 da Benedetto XVI nonostante le parecchie denunce esistenti, alcune insabbiate da decenni. Per ottenere questa impunità Maciel avrebbe sfruttato amicizie potenti: con San Giovanni Paolo II, il cardinale Stanislao Dziwisz, il cardinale Angelo Sodano che lo avrebbero messo a riparo da ogni possibile inchiesta. Sta di fatto che Ratzinger per aprire una inchiesta su di lui dovette aspettare di diventare Papa e anche in questa veste, per poter prendere provvedimenti contro Maciel, dovette scontrarsi con Sodano e Dziwisz.

Maciel morì in una clinica, in Florida, nel 2008 senza essere ridotto allo stato laicale. Il suo caso resta un tabù. Ancora oggi la Chiesa non ha fatto un pubblico mea culpa per le centinaia di vittime, le violenze psicologiche, gli abusi sui figli naturali, la menzogna elevata a sistema. Il più grande criminale della Chiesa in epoca moderna. Alberto Athiè in questi giorni è a Roma. Non vuole mancare all'appuntamento di un summit che considera storico. La speranza è che la miopia del passato possa fare posto ad una nuova era. Ricorda con dolore che anche Papa Francesco quando andò in Messico, tre anni fa, evitò di ricevere le vittime di Maciel, nonostante avessero insistito per una udienza con lui a risarcimento di un capitolo mostruoso. I dubbi sono tutt'ora intatti, sostiene Athiè, e quello di Maciel resta un capitolo aperto.

Non a caso nei giorni scorsi l'arcivescovo Charles Scicluna il prelato mandato nel 2005 da Ratzinger a raccogliere le testimonianze contro il Fondatore dei Legionari di Cristo con una battuta ha fatto allusione a questo sfasamento. «In genere in Vaticano vengono fatte leggi da applicare altrove». Aggiungendo: «In questa battaglia per la tolleranza zero io non mollerò mai. L'omertà è un meccanismo che va rimosso». Due settimane fa il Papa aveva riferito della battaglia dell'allora cardinale Ratzinger contro una certa mentalità curiale portata ad insabbiare. L'allusione al caso Maciel era inequivocabile. «C'erano tutte le carte, i documenti su una certa organizzazione religiosa che aveva al suo interno corruzione economica e sessuale. Ma c'erano dei filtri per cui doveva arrivare al dunque. Il Papa di allora (Giovanni Paolo II ndr) fece una riunione con la voglia di vedere. Ratzinger andò con le sue carte. Quando tornò indietro disse al suo segretario: metti la cartella in archivio, ha vinto l'altro partito».

Quell'insabbiamento, come si sa, durò fino a che Ratzinger non divenne Papa e spedì Scicluna a raccogliere testimonianze. Ancora oggi quel capitolo rimane materia esplosiva tanto che Dziwisz, grande amico di Maciel, dalla Polonia ha polemizzato direttamente con Bergoglio. «Non penso che Giovanni Paolo II con spensieratezza non credesse alle prove dei reati presentategli. Non era il suo stile. Inoltre non aveva né filtri, né blocco delle informazioni. I problemi della Chiesa il Papa polacco li discuteva con delle persone di competenza e non con i privati segretari». Dziwisz omette però di ricordare che durante l'ultimo periodo della malattia di Giovanni Paolo II il pontefice decideva ormai ben poco. In ogni caso in Vaticano permane ancora una certa indulgenza nel trattare il tema degli abusi. Ieri l'agenzia di Propaganda Fide, intervistando un teologo, filtrava il seguente pensiero: «bisogna essere misericordiosi con i preti pedofili, anche loro sono percorelle smarrite». E gli oppositori del Papa (vedi Burke e Brandmuller) sostengono che il male della Chiesa non sono solo gli abusi: «La piaga dell'agenda omosessuale è diffusa».

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