Libero Milone, l'ex Revisore del Papa: «Ero innocente, ma il Vaticano mi costrinse a dimettermi»

Libero Milone, l'ex Revisore del Papa: «Ero innocente, ma il Vaticano mi costrinse a dimettermi»
di Franca Giansoldati
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Sabato 9 Novembre 2019, 11:00

Città del Vaticano - Sul tavolo del cardinale Pietro Parolin pesa come un macigno un caso scottante che il Segretario di Stato dovrà risolvere a breve o con un negoziato oppure in tribunale. I colloqui tra le parti sono già stati avviati. Libero Milone, l'ex Revisore Generale chiamato da Papa Francesco nel 2015 a mettere in ordine i conti dell'amministrazione d'Oltretevere e certificarne i bilanci, a due anni dal suo clamoroso siluramento avvenuto dietro pesanti intimidazioni, sembra tirare un respiro di sollievo.
«Mi hanno costretto alle dimissioni, a firmare una lettera già pronta. Non dimenticherò l'interrogatorio violento nella caserma della Gendarmeria. Mi accusavano di spiare. Mi hanno fatto leggere il decreto di perquisizione firmato dai magistrati. Urlavano che avevo raccolto informazioni di carattere personale su autorità di governo utilizzando attività di indagine in palese violazione alle disposizioni del mio ruolo. Non era vero. Ho passato due anni che non auguro nemmeno a un cane in attesa di conoscere quali fossero le accuse contro di me».

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E cosa ha scoperto?
«Lo vede questo foglio? E' l'atto di archiviazione del Tribunale vaticano. Si dice che a mio carico non risultano procedimenti in corso di istruzione, né sentenze di condanna. Non c'è niente perché non c'era niente, altrimenti avrebbero aperto un processo. Io ho sempre rispettato le regole di ingaggio previste dal ruolo dei revisori, sottoposto a standard internazionali e un preciso codice etico. Sfido chiunque a sostenere il contrario». Accanto Milone c'è Ferruccio Panicco, l'altro revisore dei conti del Vaticano costretto a dimettersi il giorno dopo, a seguito di un altro scioccante interrogatorio in Gendarmeria durato dalle 3 del pomeriggio fino a mezzanotte».
C'è una trattativa in corso con Parolin?
«Abbiamo presentato una richiesta di reintegro. E' il minimo. Gliela ho consegnata a mano personalmente: un atto firmato anche dai miei avvocati. Il fatto è che il mio contratto, così come quello di Panicco è stato rescisso in modo irregolare. Da questo passaggio ne è seguito un danno di immagine e reputazionale enormi. Nessuno di noi due ha più avuto una offerta di lavoro in questi due anni. Il Vaticano successivamente non ha nemmeno ritenuto di rendere pubblica la dichiarazione che a nostro carico in Tribunale non risultano atti giudiziari, magari aggiungendo che c'è stato un errore, che i gendarmi si sono sbagliati oppure i magistrati. Chiediamo il nostro reintegro per completare il lavoro che avevamo iniziato. E' una questione di giustizia».
Eppure era stata fatta una «articolata indagine» sviluppatasi in oltre sette mesi...
«Non so spiegarmelo. E' per questo che sono andato dal cardinale Parolin a parlargliene. Per noi il tema vero non sono i soldi, ma il risarcimento reputazionale. I miei legali ipotizzano milioni di euro di danno. Provi a immaginare cosa significa per un professionista che ha lavorato come Revisore per le più grandi imprese quotate in borsa, con una carriera immacolata, all'improvviso essere tacciato di spia dal Vaticano. E' chiaro che non ti chiamerà più nessuno a lavorare. A certi livelli non puoi avere ombre. E' la morte professionale. Se avevano davvero le prove dello spionaggio perché non fare un processo? Perché non condannarci?»
Parolin che cosa le ha detto?
«Che era dispiaciuto per quanto accaduto. Mi ha dato l'impressione di essere in buona fede».
Potreste davvero essere reintegrati?
«Non lo sappiamo. Una risposta però il Vaticano ce la dovrà dare. Al momento Parolin ci ha suggerito di parlare, per una mediazione, con Giampiero Milano, il Promotore di Giustizia, praticamente il magistrato che ci ha fatto perquisire dalla Gendarmeria, motivando l'accusa di spionaggio. Si rende conto? Un magistrato che viene incaricato di portare avanti la mediazione».
Scusi ma si può sapere chi spiava chi?
«Tutto è nato perché un Revisore ha la facoltà di chiedere informazioni e il diritto di ottenerle. Ha poteri di vigilanza cartolare. Tutti i Revisori la hanno. Magari all'inizio abbiamo agito senza tenere conto che il Vaticano non era una azienda ma una monarchia assoluta. Posso però dire che pochi mesi dopo che lavoravo in Vaticano ho scoperto che qualcuno spiava il computer della mia segretaria con un programma specchio, ho scoperto una cimice nei locali e, infine, una mattina ho trovato il mio computer violato. Ho fatto subito denuncia alla gendarmeria e ho chiesto di una bonifica ma non è mai accaduto nulla. Così mi sono rivolto ad una società per farmi fare una bonifica nel mio ufficio, cosa che è stata fatta».
Lei è stato accusato di avere messo il naso nella privacy di cardinali e vescovi...
«Il lavoro del Revisore impone un controllo patrimoniale, finanziario ed economico degli enti gestiti.

Purtroppo abbiamo trovato anche chi distraeva soldi destinati ai bambini del terzo mondo per spenderli in convegni, chi conservava in casa soldi di tributi che avrebbe, invece, dovuto versarli regolarmente in banca con le ricevute, chi usava come bancomat il conto dell'ufficio che dirigeva».

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