Vaticano, dipendenti sul piede di guerra per il taglio (sbilanciato) dei benefit

Vaticano, dipendenti sul piede di guerra per il taglio (sbilanciato) dei benefit
di Franca Giansoldati
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Giovedì 20 Maggio 2021, 19:41 - Ultimo aggiornamento: 20:04

Città del Vaticano – Gli scioperi in Vaticano non sono contemplati, i sindacati nemmeno (a parte un'unica associazione che pare non abbia mai avuto tanta voce in capitolo) eppure i problemi di natura sindacale non mancano mentre, in parallelo, specie ultimamente per via del Covid, le proteste carsiche montano. I lavoratori del Papa sono sul piede di guerra, almeno stando ad una petizione che è stata fatta arrivare a Santa Marta e sta rimbalzando di congregazione in congregazione. All'origine del malumore sono i provvedimenti economici che si sono resi necessari per via del deficit di bilancio.

Il Papa per far fronte alle spese rimaste inalterate, a fronte di entrate ai minimi storici, è stato costretto, lo scorso mese, a firmare un Motu Proprio che prevede di coprire, almeno parzialmente, il deficit attraverso l’introduzione del taglio degli stipendi di Cardinali, ecclesiastici, religiosi, Superiori laici (solo alcune categorie e sulla quota base) nonché la sospensione degli scatti biennali d’anzianità degli impiegati. 

Secondo gli impiegati, gli operai e i quadi intermedi «il provvedimento è troppo sbilanciato a discapito dei lavoratori onesti».

Blocco delle assunzioni, blocco degli scatti di anzianità, sospensione di promozioni, mancato pagamento degli straordinari, recupero gratuito delle ore spese obbligatoriamente in casa nel periodo del lockdown con impossibilità di lavorare in smart-working, non fanno che aggravare le condizioni di lavoro dei dipendenti vaticani. 

«Non possiamo fare a meno, Santità, di citare il concetto di “giusta ricompensa” di cui si parla nel Vangelo di Matteo (Mt 20, 1-16) o o “la debita mercede” cui si fa riferimento in Ger 22,13 o Gc 5,4. Quanto dovremo sacrificarci ancora per pagare un deficit di bilancio che non deriva certo dal nostro malfatto?» si legge nella petizione.



«Gli scatti di anzianità dovrebbero compensare tutto ciò che il Vaticano, rispetto ad aziende private, non contempla (bonus produttività, promozioni in base agli obiettivi raggiunti, sistema meritocratico di selezione e crescita professionale, ecc.). Crediamo che l’attuale contesto non si presti ad accogliere interventi così radicali, almeno fintantoché non verranno messi in atto cambiamenti lungimiranti e perspicaci, in grado di trasformare la struttura nel profondo. Con grande amarezza dobbiamo constatare che molte delle proposte di riforma avanzate dal Consiglio per l’Economia circa le Risorse Umane non sono state seriamente considerate».

In pratica secondo quanto affermano i lavoratori vaticani vi sarebbe una sperequazione che andrebbe a cozzare contro i principi della Dottrina Sociale della Chiesa. «Continuando in questa direzione, Santità, il sistema diventerà sempre più privativo, anti-meritocratico e disincentivante. Se le regole dei tagli dovrebbero essere valide per tutti i dicasteri risulta che non tutti gli Enti sembrano uniformarsi alle disposizioni. Molti dicasteri hanno continuato ad assumere personale, a concedere livelli funzionali e a pagare straordinari». 

Vi sarebbero  così manager laici, i cui presunti contratti «fuori parametro non smettono di destare stupore, variando dai 6.000 ai 10.000 fino ai 25.000 euro mensili. Troppo, per un sistema come il nostro, che dovrebbe basarsi sullo spirito di “servizio alla Chiesa». 

La petizione sottolinea poi le consulenze d'oro. «Per cosa stiamo pagando, Santità? Per le casse dell’Obolo destinato ai poveri, per aumentare gli stipendi ai dirigenti laici o per le costosissime consulenze esterne di cui si servono regolarmente? Peraltro, questi manager possono contare su una serie di vantaggi eccezionali». 

Nell'occhio del ciclone della protesta vi sono i criteri coni quali la Segreteria dell'Economia sta procedendo a far quadrare il bilancio. «Non si può fare a meno di mostrare amarezza di fronte alla modalità con cui i Superiori della SPE hanno deciso di raggiungere tale obiettivo così mortificante per i dipendenti, senza interpellarli in alcun modo e permettere loro un contraddittorio. Sacrificarsi per un bene comune va bene, a condizione che lo si faccia in proporzione alle possibilità economiche del singolo e dopo aver risolto le enormi criticità che caratterizzano l’intero sistema e che lo inducono a sprecare molto denaro».
 

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