Truffa in Vaticano, il depistaggio di Becciu e le minacce del prelato: ecco le accuse dei pm

Truffa in Vaticano, il depistaggio di Becciu e le minacce del prelato: ecco le accuse dei pm
di Michela Allegri
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Lunedì 5 Luglio 2021, 07:31

Un progetto studiato a lungo, per riuscire a trascinare la Santa Sede in una serie di investimenti fallimentari costati quasi 500 milioni di euro. Un monsignore che si presenta nella casa londinese di uno dei broker che avrebbero orchestrato la truffa e lo minaccia, velatamente, accompagnato da un «soggetto poco rassicurante». Poi, quando lo scandalo dell'immobile di Sloane Avenue - acquistato dal Vaticano a circa il doppio del valore di mercato - viene a galla e la Procura inizia a procedere con perquisizioni e interrogatori, arriva un tentativo di depistaggio clamoroso, al quale avrebbe partecipato anche l'ex cardinale Angelo Maria Becciu, finito a processo davanti al Tribunale Vaticano insieme ad altre 9 persone.

Cardinale Becciu e altri 9 a processo per il palazzo di Londra e i fondi della Segreteria di Stato: accuse di truffa, peculato e abuso d'ufficio

IL RAGGIRO
A manovrare i fili del raggiro in danno della Santa Sede, secondo gli inquirenti, sarebbero stati i broker Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi.

L'operazione sulla quale indagano la Finanza e la Gendarmeria risale all'inizio del 2014, quando la Segreteria di Stato - parte civile con l'avvocato Paola Severino - si indebita con Credit Suisse per 200 milioni di dollari da investire nel fondo Athena Capital Global Opportunities Fund di Mincione. Un investimento altamente speculativo, che provoca gravi perdite. Mincione avrebbe usato quei soldi per realizzare operazioni imprudenti, come la scalata di Banca Carige, per la quale avrebbe ricevuto un prestito consistente da Torzi. Nel 2018, la Segreteria di Stato decide di uscire dall'investimento e di entrare finalmente in possesso dell'immobile. E si affida ad un altro finanziere: Gianluigi Torzi. Il contratto prevede due clausole considerate assurde: il versamento di 40 milioni di sterline a Mincione, a titolo di conguaglio; il passaggio della proprietà del palazzo a Torzi, tramite uno Share Purchase Agreement che, di fatto, sottrae alla Segreteria di Stato il controllo dell'immobile di Londra. Dalle indagini, però, come si legge negli atti vaticani, è emerso che «tra Mincione e Torzi fossero intervenuti accordi che impegnavano il primo a rimborsare il secondo del prestito ricevuto per la scalata Carige». Rimborso che sarebbe avvenuto con i soldi della Santa Sede. Da uno scambio di mail, infatti, «si evince che i due non solo erano d'accordo ad effettuare l'operazione con la Segreteria di Stato per recuperare la liquidità persa nella scalata alla banca, ma anche per continuare a gestire insieme l'immobile di Londra». Gli accordi emergerebbero anche da scambi di sms. Il 2 novembre 2018 Torzi scrive: «Su Sloane c'è un buon compromesso in vista». E Mincione: «Ok cross fingers».

L'ESTORSIONE
A questo punto, Torzi, stando alle accuse, trattenendo le uniche mille azioni con diritto di voto, sarebbe riuscito a mettere a segno un'estorsione milionaria. Per cedere le azioni e consentire al Vaticano di disporre del palazzo, il broker avrebbe chiesto 20 milioni. Monsignor Mauro Carlino - pure lui indagato per estorsione - avrebbe convinto Torzi ad accettare 15 milioni anziché 20. Un'opera di mediazione che, secondo quanto raccontato dal broker, sarebbe consistita praticamente in una minaccia. Nella richiesta di citazione a giudizio vaticana, si legge che, all'epoca, il monsignore era «in contatto con persone incaricate di offrirgli informazioni e protezione». Gli inquirenti scrivono che «è apparso inquietante quanto riferito da Torzi». Il broker racconta che il prelato si era presentato nel suo appartamento di Londra «accompagnato da un soggetto con l'aspetto poco rassicurante». E ancora: «con una risata sarcastica, mi riferiva di essere venuto per convincermi con ogni mezzo e nonostante un mio problema di salute a recarmi presso gli uffici per firmare il contratto. Mi diceva che lui ed i suoi amici erano a disposizione per accompagnarmi lo stesso giorno per la firma, o se avessi avuto bisogno di qualcosa per i miei bambini. Per me il messaggio fu inequivocabile».

IL DEPISTAGGIO
Ma non è tutto. Negli atti viene descritto anche un clamoroso tentativo di depistaggio, orchestrato, secondo l'accusa, dai due broker e dal cardinale Becciu. Nel maggio 2020, quando lo scandalo è venuto a galla e la Procura sta già indagando da tempo, pochi giorni prima dell'interrogatorio di Torzi, arrivano alla Santa Sede due diverse offerte di riacquisto del palazzo di Londra, entrambe ad un prezzo superiore a 300 milioni di sterline: una, da parte dello studio Fenton Whelan di Londra e, l'altra, da parte della Bp Development real Estate Corporation. Dalle indagini è emerso che, in realtà, a organizzare le proposte erano stati proprio Torzi e Mincione, mentre il regista dell'operazione sarebbe stato il cardinale. Secondo Torzi si trattava di una reazione alla «decisione del licenziamento dei cinque dipendenti della Segreteria di Stato a suo dire ingiustamente allontanati dal loro posto» in relazione alla vicenda di Sloane Avenue, finiti pure loro sotto processo.

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