Processo Becciu, battaglia per il pc di Crasso: «Difendersi? E' come ai tempi dell'Inquisizione», Pignatone: «irricevibile»

Processo Becciu, battaglia per il pc di Crasso: «Difendersi? E' come ai tempi dell'Inquisizione», Pignatone: «irricevibile»
di Franca Giansoldati
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 27 Aprile 2022, 08:23 - Ultimo aggiornamento: 22:33

Città del Vaticano – Un computer di marca Lenovo sequestrato due anni fa dalla Guardia di Finanza tramite una rogatoria internazionale, di proprietà del finanziere Enrico Crasso, uno dei dieci imputati del maxi processo per il famigerato immobile di Londra, si sta trasformando nella spia più evidente di come l'aria nel tribunale del Papa si sia fatta pesante. Per la prima volta, in un documento depositato, si ironizza pesantemente sui processi che in Vaticano sembrano rimasti ai tempi dell'Inquisizione sebbene, come scrive l'avvocato Luigi Panella, difensore di Crasso, «siano lontani i tempi in cui il directorium inquisitorum di frate Nicolas Eymerich, inquisitore generale di Aragona, spiegava che il principale ostacolo alla rapida celebrazione dei processi è la presenza di una difesa». 

Il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone ha seccamente ribadito che in aula finora è sempre stato dato ampio spazio alle parti, che si tratta di un giudizio «fuori luogo», «ingiustificato, così come il richiamo a metodi inquisitori che non appartengono a questo dipartimento».

Palazzo di Londra, Crasso non si farà interrogare: «Senza il mio pc ancora sotto sequestro non riesco a difendermi»

Il processo del secolo che Papa Francesco avrebbe voluto chiudere entro un anno è, di fatti, ancora alle fasi iniziali e fatica a decollare per le continue lacune sul giusto processo denunciate da tutte le difese, reiteratamente, da mesi.

Stavolta è il pc personale di Crasso ad essere finito al centro di un inatteso tira e molla con il Promotore di Giustizia. L'ufficio inquirente finora si è rifiutato di depositarlo in cancelleria affermando che non solo è protetto da una password (mai comunicata, scrive il pm, al momento del sequestro) ma che il computer è fondamentale per un altro filone di inchiesta. 

Il fatto è che senza quel computer personale - afferma il legale -  è tecnicamente impossibile ricostruire tutti i vari passaggi e gli appuntamenti relativi a diversi anni di attività. Di conseguenza Crasso, non potendo difendersi, aveva fatto sapere che non si sarebbe presentato in aula per l'interrogatorio. «Mancano i presupposti per il giusto processo». Nei giorni scorsi il Promotore di Giustizia ha risposto a Crasso e stabilito - in una memoria depositata in Tribunale - che «la richiesta di restituzione è irricevibile perché volta a ottenere beni contenuti in altro fascicolo» ma che ,tuttavia, «non si intende vanificare le istanze difensive di Crasso» e pertanto «si consegna a un tecnico delegato dall'imputato, munito della password di accesso al dispositivo sequestrato, una copia forense dei dati contenuti nella memoria del medesimo».

Chi firma la memoria è Roberto Zanotti, il quale spiega che al Vaticano finora non è stato possibile fare una analisi forense dei contenuti perchè il computer di Crasso era protetto da una password mai comunicata al momento del sequestro nella casa del figlio del finanziere, Riccardo Crasso. Ma l'avvocato fa notare alcune anomalie e scrive: «non si capisce perchè il computer è stato ritenuto rilevante in un altro fascicolo processuale se il suo contenuto è protetto da password. Nessuno, tra l'altro, ha mai chiesto a Crasso le chiavi d'accesso nel corso delle 30 ore dei quattro interrogatori al quale il medesimo si è sottoposto durante le indagini, e tutti in epoca successiva al sequestro». Quindi: «Delle due l'una, o il pc non era accessibile perché nessuno aveva le password (ma allora non si comprende come possa esser rilevante in un altro fascicolo processuale, al punto da non depositarlo nel procedimento come impone il codice di rito, o il contenuto del computer è accessibile nonostante le chiavi di accesso cifrate ma allora il richiamo alla presenza di tali chiavi di accesso è privo di senso. In ogni caso il mancato deposito del pc risulta legittimo».

In attesa che il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone stabilisca una altra data per il successivo interrogatorio del finanziere svizzero da oltre vent'anni incaricato di gestire i fondi riservati della Segreteria di Stato (verrà fissato dopo che avrà potuto entrare in possesso della copia forense del suo pc), stamattina in Vaticano si procede all'interrogatorio di Tommaso Di Ruzza, l'ex direttore dell'Aif, l'authority finanziaria creata da Benedetto XVI per vigilare sui passaggi di denaro. 

Di Ruzza ha ricordato in aula che i suoi interlocutori sono sempre stati il Papa, il Sostituto, mosignor Pena Parra, il segretario di Stato, cardinale Parolin. E a chi gli chiedeva se l'Aif non avesse sentito il dovere di inoltrare a suo tempo una segnalazione di una operazione sospetta (sos) relativa al passaggio delle quote per la proprietà del famoso palazzo di Londra, ha replicato che tutte le operazioni erano state autorizzate dai superiori: «E chi avrei dovuto denunciare Pena Parra?» E ancora.« L'Aif ha sempre agito in modo corretto e nell'interesse della Santa Sede».

Nell' interrogatorio durato cinque ore, Di Ruzza ha ripetuto di aver sempre agito nel rispetto delle regole e a tutela degli interessi della Santa Sede, assistendo in particolare tecnicamente, la Segreteria di Stato nel quadro della normativa antiriciclaggio.  

Ha poi precisato che l’anticipazione di liquidità, chiesta dalla Segreteria di Stato per sostituire il precedente mutuo sull’immobile di Londra, di 150 milioni di euro, a suo parere poteva essere concessa dallo Ior perché coerente con l’autorizzazione di cui l’Istituto era titolare. Il mutuo «avrebbe soddisfatto pienamente gli interessi della Santa Sede, in tutte le sue componenti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA