Palazzo Londra, il presidente del Tribunale dopo 7 ore: «Di questo passo finiremo nel 2050»

Palazzo Londra, il presidente del Tribunale dopo 7 ore: «Di questo passo finiremo nel 2050»
di Franca GIansoldati
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Martedì 5 Aprile 2022, 18:57

Città del Vaticano – Dopo oltre sette ore filate d'aula, la dodicesima udienza del processo per il famigerato palazzo di lusso di Londra, è terminata con una battuta da parte del presidente del tribunale, Giuseppe Pignatone: «Se va avanti di questo passo dovremmo finire nel 2050». L'ironia del momento nasconde le difficoltà di un cammino piuttosto accidentato, visto che anche stavolta sono affiorate nuove richieste di nullità da parte delle difese per l'ennesimo materiale informatico che il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi – una sorta di pm – non ha mai messo a disposizione. Materiale che è ritenuto fondamentale per potersi difendere. A rallentare l'udienza sono state anche le tantissime domande non ammesse durante gli interrogatori, di fatto éperchè sollevate al di fuori del perimetro di un processo ancora alle fasi iniziali benché iniziato l'anno scorso a luglio per fare luce sulla  compravendita poco chiara di uno stabile di lusso di proprietà della Santa Sede: avrebbe comportato una perdita secca quantificata dall'accusa di circa 200 milioni di euro.

Il processo

Stamattina in aula erano inizialmente previsti gli interrogatori di tre dei dieci imputati: Renè Brulhart, il manager che ricopriva l'incarico di presidente dell'Aif, l'authority finanziaria anticiclaggio; Tommaso di Ruzza, direttore della stessa Aif e monsignor Mauro Carlino - segretario del Sostituto alla Segreteria di Stato - chiamato a completare la deposizione dell'udienza precedente.

Il tempo a disposizione però è volato, occupato quasi interamente dall'interrogatorio di Brulhart, che ha necessitato di un interprete dall'inglese, sicché quello di Di Ruzza è slittato al 27 aprile.

Nella testimonianza spontanea, resa in apertura della udienza, Brulhart ha subito ricordato la sua carriera e di come per anni sia stato un consulente ed un esperto finanziario scelto dalla Segreteria di Stato e dal Dicastero dell'economia, più volte confermato in quell'incarico. Lo stesso Bruelhart fatto notare come prima del suo arrivo lo Stato della Città del Vaticano «fosse un paese ad alto rischio finanziario e a rischio alto di riciclaggio e senza standard di trasparenza», naturalmente fuori dal gruppo Egmont, fuori dal gruppo Seca e assai lontano dal cammino per entrare nella white list di Moneyval, cosa che sarebbe poi mutata grazie anche al lavoro fatto in questi anni.

Brulhart ha inoltre precisato che in qualità di presidente non aveva un ruolo esecutivo e che personalmente «ha sempre operato per i fini assegnati ed in accordo con gli altri organismi vaticani». Sul caso dell'edificio di Londra ha, quindi, ribadito di aver sempre riferito alla Segreteria di Stato e ai superiori. Per superiori naturalmente si intende, in ultima istanza, la figura del Papa.

«Sono fermamente convinto di non aver commesso alcun reato e mi sono sentito offeso nel leggere accuse secondo le quali io avrei portato vantaggio a persone che neanche conosco», ha affermato rigettando l'ipotesi di abuso d'ufficio precisando di aver conosciuto il caso del palazzo di Londra solo il 7 marzo 2019 quando il sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Edgar Pena Parra lo ha informato del caso: il Vaticano in quel frangente aveva perso il controllo finanziario dell'immobile, a causa di un passaggio di proprietà di quote e che nel frattempo aveva avviato le trattative con il finanziere Torzi, subentrato a sua volta al finanziere Mincione (entrambi accusati di truffa e altri reati), per rientrarne nella piena padronanza.

Brulhart sintetizza che in quel periodo era chiaro che le questioni in ballo fossero tre: la posizione legale e contrattuale molto debole della Segreteria di Stato, la necessita' di non perdere la titolarita' del palazzo, pena gravi danni finanziaria, e il rischio reputazionale della Santa Sede se solo avesse intrapreso azioni legali. Naturalmente da presidente dell'Aif è stato sentito e ricevuto più volte dal Papa e dal cardinale Pietro Parolin, confrontandosi con loro e con trasparenza. Per il Vaticano si trattava di chiudere i rapporti col broker Gianluigi Torzi, di cedere parte delle azioni del palazzo e di avere in cambio i titoli con diritto di voto, le famose mille azioni che davano appunto a Torzi il controllo legale del palazzo di Sloan Avenue. 

Dai documenti inviati all'epoca dallo studio legale londinese che assisteva la Santa Sede, l'operazione doveva implicare il rifinanziamento del mutuo da parte dello Ior e una liquidazione per Torzi pari al tre per cento (circa una decina di milioni che poi diventarono misteriosamente 15), ma il broker molisano - che e' accusato di estorsione, peculato, truffa - ne pretendeva cinque in piu', anche con toni ultimativi sulla necessita' di chiudere subito e la minaccia persino di vendere l'immobile (in aula è stata mostrata anche la relativa brochure pubblicitaria). 

La trattativa si chiuse, come si sa, con una maxi commissione per Torzi pari a 15 milioni. Bruelhart ha evidenziato che lui, in qualità di presidente dell'Aif, ha avuto solo un ruolo non operativo visto che l'operativita' ed esecutivita' dell'Aif era del direttore, Tommaso Di Ruzza. E' a lui che inviava infatti tutti di documenti su Sloane Avenue, compresa la fattura per gli ulteriori cinque milioni a Torzi, inviatagli via whatsapp da monsignor Mauro Carlino, segretario di Pena Parra, il quale agisce solo su input di quest'ultimo, come esattamente prevede la catena di comando della Segreteria di Stato.

A tal proposito Carlino ha smentito la ricostruzione dell'accusa secondo cui il primo maggio del 2019 si sarebbe recato a Londra con un volo Ryanair da Napoli: «Non e' vero. Lo smentiscono anche le mie chat. Avevo preso accordi con un amico per andare in Campania a pranzare con delle suore e per vedere la partita della mia squadra del cuore, il Lecce. Ma non sono mai andato a Londra. E soprattutto non ho mai minacciato nessuno. Al Promotore di Giustizia sarebbe bastato vedere l'orario delle chat, in volo non si possono mandare messaggi».

Il presidente Pignatone alla fine ha fissato una nuova tabella, il processo riprenderà il 27 aprile con l'interrogatori di Di Ruzza, mentre quello del cardinale Becciu è slittato al 5 maggio. E' possibile che prima dell'estate i giudici finiscano di interogare tutti e dieci gli imputati, anche se poi restano da sentire i testimoni che saranno decine e decine. Ma dipenderà chi verrà ammesso o meno. 

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