Pedofilia, la Cei pubblica, su pressione di Papa Francesco, il primo rapporto sull'Italia: 89 denunce nel 2020/2021

Quasi un terzo delle presunte vittime ha meno di 14 anni

Pedofilia, la Cei pubblica, su pressione di Papa Francesco, il primo rapporto sull'Italia: 90 denunce nel 2020/2021
di Franca Giansoldati
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Giovedì 17 Novembre 2022, 11:15 - Ultimo aggiornamento: 19:42

Città del Vaticano – Pedofilia, la Conferenza Episcopale Italiana obtorto collo – perchè solo a seguito di fortissime pressioni da parte del Vaticano e di Papa Francesco - ha pubblicato il suo primo rapporto sugli abusi in Italia. Si tratta di uno studio conoscitivo che contrariamente a quello che da anni viene regolarmente diffuso da altre conferenze episcopali europee riguarda solo dati parziali sul territorio (relativi alle sole 90 diocesi che hanno attivato un Servizio di ascolto per la tutela dei minori). I numeri sono circoscritti all'ultimo biennio. Al momento non sono stati presi in considerazione periodi più lunghi normalmente utilizzati da altre Chiese al fine di descrivere meglio - anche dal punto di vista statistico - le radici del fenomeno pedofilia tra il clero. Un quadro che certamente aiuterebbe a capirne meglio i contorni, classificare le azioni di prevenzione effettuate nel passato e correggere le politiche per il futuro. Generalmente le ricerche fatte all'estero hanno preso in esame periodi non inferiori ai 50 anni.

Al dicastero Vaticano della Dottrina della Fede sono però stati trasmessi 613 fascicoli dalle diocesi italiane negli ultimi venti anni relativi a segnalazioni di abusi sessuali o presunti da parte di chierici.

Un dato che è spuntato solo in conferenza stampa, rendendo ancora più grave il quadro complessivo del fenomeno italiano. Monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, ha precisato che non significa che siano 613 casi accertati: «Questo è il numero di fascicoli, di ponenze, trasmessi dalle diocesi al dicastero. Per capire quanti siano esattamente i casi serve una indagine». Il numero di 613 fascicoli, emerso oggi per la prima volta in occasione della presentazione del primo Report della chiesa può quindi riguardare casi di denunce archiviate o viceversa casi di abusatori seriali. «Non è che si è taciuto quel che si sapeva. È il frutto di un procedimento avviato»

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Dal rapporto sono stati rilevati dati relativi a 90 Centri di ascolto attivati dai Servizi Diocesani o Inter- diocesani per la tutela dei minori: di questi 21 sono stati attivati nel 2019 (in cinque casi anche prima), 30 nel 2020, 29 nel 2021 e 10 nel 2022. La maggior parte dei Centri è attiva nel Nord (43), con una incidenza relativa molto superiore a quella delle Diocesi che hanno attivato il Servizio di tutela minori, seguono i 30 Centri del Sud ed i 17 del Centro Italia. L’attivazione dei Centri di ascolto è strettamente correlata alla dimensione delle Diocesi, con 38 Centri costituiti in Diocesi di grandi dimensioni o Diocesi che si sono aggregate per questo servizio, 41 Centri fanno riferimento a Diocesi medie e i rimanenti 11 a Diocesi di  minori dimensioni. 


L’età delle presunte vittime segnalate nel biennio 2020-2021 si concentra nella fascia d’età 10-18 anni, in particolare il 37,1% tra coloro che hanno età compresa tra i 15 e i 18 anni e il 31,5% tra chi ha un’età compresa tra i 10 e i 14 anni. In misura decisamente inferiore i casi segnalati relativi a presunte vittime over 18 anni (18,0%) (spesso in questi casi si è trattato di adulti considerati vulnerabili), e a presunte vittime under 10 anni, nello specifico non è stata registrata alcuna segnalazione per presunte vittime nella fascia d’età 0-5 anni, mentre nella fascia d’età 5-10 anni le segnalazioni rappresentano il 13,5% del totale.

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E' emerso che la netta prevalenza degli abusi riguarda “comportamenti e linguaggi inappropriati” (30,4% e 43,3% se si considerano le 90 risposte ricevute). Seguono, in ordine di frequenza, “toccamenti” (26,6% e 24,4% considerato 90 il totale); “molestie sessuali” (16,5% e 14,4%); “rapporti sessuali” (11,4% e 10,0%); “esibizione di pornografia” (5,1% e 4,4%); “adescamento online” (3,8% e 3,3%); “atti di esibizionismo” (2,5% e 2,2%). Nella voce residuale “altro” si trovano indicati anche i presunti reati di “violenze fisiche” (1 segnalazione); “comportamenti inappropriati non configurabili come reati” (1); “manipolazione” (1); “proposte indecenti” (1); “violenza domestica” (1); “violenza psichica e fisica” (2); “adesione a setta satanica” (1). 

Le vittime che hanno contattato le diocesi lo hanno fatto per presentare denuncia all’Autorità ecclesiastica (53,1%), in misura minore per avere informazioni (20,8%), oppure per ottenere una consulenza specialistica (15,6%). I contatti sono avvenuti nella maggioranza dei casi direttamente nella sede fisica del Centro di ascolto diocesano (60,5%), oppure presso un luogo differente (39,5%), quale, ad esempio, la Chiesa, la parrocchia dei genitori della vittima. Riguardo alle intenzioni e agli obiettivi della segnalazione, la gran parte dei rispondenti indica “per verità e giustizia” (55,8% dei casi), ma anche per prevenire il ripetersi di abusi (44,2%). 

Nella fase iniziale i contatti sono avvenuti principalmente via telefono (55,2% dei casi), oppure, anche se in misura nettamente inferiore, tramite corrispondenza online (e-mail nel 28,1% dei casi).
 

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Alla presentazione del rapporto di 41 pagine il vescovo Lorenzo Ghizzoni ha spiegato che al momento non risultano vescovi italiani inadempienti e  sanzionati per avere coperto casi di abuso. «Che io sappia ancora no» ha detto il prelato aggiugendo che anche se «per la legge italiana  non esiste obbligo di denuncia, noi ci siamo assunti l'obbligo morale  di incoraggiare le vittime alla denuncia. E, a chi si oppone a 
denunciare, chiediamo che sia messo per iscritto».

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