Papa Francesco e l'autocoscienza: «In questi sei anni sono rimasto lo stesso»

Papa Francesco e l'autocoscienza: «In questi sei anni sono rimasto lo stesso»
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 25 Settembre 2019, 10:01

Città del Vaticano - Da quando è stato eletto Papa, Jorge Mario Bergoglio non pensa essere mutato di tanto. Anzi. «Credo che la mia esperienza di Dio non sia cambiata. Resto sempre lo stesso di prima». Durante il viaggio in Mozambico e Madagascar il Pontefice ha partecipato al consueto colloquio con i gesuiti che vivono in quei paesi. Con loro si è intrattenuto per uno scambio libero e spontaneo su alcuni argomenti. Il testo della chiacchierata è stato pubblicato dalla rivista dei Gesuiti, La Civiltà Cattolica.

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«Ora avverto un senso di maggiore responsabilità, senza dubbio. La mia preghiera di intercessione poi si è fatta molto più ampia di prima. Ma anche prima vivevo la preghiera di intercessione e avvertivo la responsabilità pastorale. Parlo al Signore come prima. E poi commetto gli stessi peccati di prima. L'elezione a Papa non mi ha convertito di colpo, in modo da rendermi meno peccatore. Sono e resto un peccatore. Per questo mi confesso ogni due settimane. Mi conforta molto sapere che Pietro, l'ultima volta che appare nei Vangeli, è ancora insicuro come lo era prima. Leggere dell'ipocrisia di Pietro mi conforta tanto e mi mette in guardia. Soprattutto mi aiuta a capire che non c'è alcuna magia nell'essere eletto Papa. Il conclave non funziona per magia».

Tra i temi affrontati la questione dei sovranismi che arrivano a sconfinare nell'odio verso i diversi. «La xenofobia e l'aporofobia (la fobia per la povertà o per i poveri, ndr) oggi sono parte di una mentalità populista che non lascia sovranità ai popoli. La xenofobia distrugge l'unità di un popolo, anche quella del popolo di Dio. E il popolo siamo tutti noi: quelli che sono nati in un medesimo Paese, non importa che abbiano radici in un altro luogo o siano di etnie differenti».

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Il Papa non ha mancato di tornare su un tema che gli sta a cuore. L'incapacità di certi preti di abbandonare il conformismo, la rigidità degli schemi prestabiliti, la brama di potere. «Il clericalismo è una vera perversione nella Chiesa, pretende che il pastore stia sempre davanti, stabilisce una rotta, e punisce con la scomunica chi si allontana dal gregge. Insomma: è proprio l'opposto di quello che ha fatto Gesù».

Il clericalismo lo ha definito una «condanna, che separa, frusta, disprezza il popolo di Dio. Il clericalismo confonde il "servizio" presbiterale con la «potenza» presbiterale. Il clericalismo è ascesa e dominio. In italiano si chiama 'arrampicamento'. Il clericalismo ha come diretta conseguenza la rigidità. Non avete mai visto giovani sacerdoti tutti rigidi in tonaca nera e cappello a forma del pianeta Saturno in testa? Dietro a tutto il rigido clericalismo ci sono seri problemi. Una delle dimensioni del clericalismo è la fissazione morale esclusiva sul sesto comandamento»

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