Papa Francesco, appello ai partiti in campagna elettorale: «Responsabilità civica. Draghi? Uomo di grande qualità»

La parole del Pontifice sul volo di rientro dal Canada

Papa Francesco, appello ai partiti in campagna elettorale
di Franca Giansoldati
9 Minuti di Lettura
Sabato 30 Luglio 2022, 09:45 - Ultimo aggiornamento: 31 Luglio, 15:15

Da bordo dell'aereo papale – di ritorno dal Canada – un viaggio-test per la tenuta fisica del pontefice dopo i guai al ginocchio e alle articolazioni - Papa Francesco si concede ai giornalisti delle maggiori testate internazionali per rispondere ad alcune domande. Svela i suoi prossimi programmi e la voglia di andare in Ucraina e in Kazakistan (dove ci sarà anche Kirill, il patriarca russo sostenitore di Putin che benedice la guerra contro Kiev), ripete che non intende dimettersi a breve benché in futuro quella resta una opzione aperta, condanna il colonialismo in tutte le sue forme. Infine lancia un appello – tanto stringato quanto eloquente – alle forze politiche italiane impegnate in campagna elettorale. A loro raccomanda una sola cosa: “siate responsabili”. La caduta di Mario Draghi è stata una doccia gelata: “Nessuno in ogni caso può dire che il presidente Draghi non fosse un uomo di grande qualità internazionale”. Ecco come si è svolto in sintesi il colloquio.

Elezioni politiche 2022, diretta. Grillo: «Alcuni di noi contagiati dagli zombie, ma vinceremo»

L'Italia sta attraversando un momento difficile: crisi economica, pandemia, la guerra, e ora siamo anche senza governo. Lei è il Primate d'Italia e nel telegramma scritto al Presidente Mattarella per il suo compleanno ha scritto che il momento è segnato da non poche difficoltà. Come ha vissuto la caduta di Mario Draghi? 
«Non voglio mischiarmi nella politica italiana.

Nessuno in ogni caso può dire che il presidente Draghi non fosse un uomo di grande qualità internazionale: ha fatto il presidente della Bce, una buona carriera... Io ho solo fatto una domanda ai miei collaboratori chiedendo quanti governi avesse avuto l'Italia finora. Mi ha risposto che sono stati 20. Ecco questa è la mia risposta». 

Che appello rivolge alle forze politiche che iniziano la campagna elettorale?
«Responsabilità. Responsabilità civica».

Lei in questi giorni ha avuto modo di parlare con i nativi, le comunità metis e gli inuit. Molti di loro sono sopravvissuti delle scuole residenziali e ai piani di omologazione culturale. Il colonialismo in Canada ma anche negli Stati Uniti è stato giustificato da alcuni documenti storici della Chiesa che hanno motivato la supposta superiorità dei paesi conquistatori. La cosiddetta dottrina della scoperta. Che ne pensa?
«Credo che sia il problema di ogni colonialismo e anche oggi le colonizzazioni hanno lo stesso schema più o meno riassumibile nel fatto che chi non si inserisce nella visione del colonizzatore è considerato inferiore. Ma io vorrei andare oltre. I nativi erano considerati non solo inferiori perchè c'era qualche teologo un po' pazzo che si domandava persino se avessero l'anima. Quando Giovani Paolo II si è recato a Sao Tomè, davanti alla porta dove gli schiavi dove venivano imbarcati e salpavano per le Americhe, ha fatto capire al mondo quanto fosse enorme il dramma criminale sotteso. Le persone erano buttate nelle navi in condizioni disastrose e poi trasformate in schiavi in America. In quel periodo vi erano persone che parlavano chiaramente, come Bartolomeo de Las Casas ma erano la minoranza: la coscienza sulla uguaglianza umana è arrivata lentamente. Perché nell'inconscio ancora c'è qualcosa. Abbiamo sempre, mi permetto di dirlo, un atteggiamento colonialismo che tenta di ridurre la loro cultura alla nostra. Ed è una cosa che ci viene dal modo di vivere che abbiamo sviluppato. A volte però perdiamo valori che loro invece hanno. Per esempio: i popoli indigeni hanno un grande valore della armonia con il creato, e alcuni che conosco lo esprimono nel “vivere bene” che non significa passarsela bene o fare la dolce vita come intendiamo noi occidentali, ma vivere bene in armonia. Noi siamo abituati a ridurre tutto alla testa, alla ratio e invece la personalità dei popoli originari sa esprimersi nei tre linguaggi, testa, cuore e mani e sanno usare questo linguaggio col creato. Questo progressismo esagerato – sia chiaro che non sto parlando contro lo sviluppo che invece è buono – porta con sé l'ansia. Una delle cose che la nostra società sviluppata e commerciale non ha più è la capacità di poesia, mentre i popoli indigeni la hanno. Tornando alla dottrina della colonizzazione è ovviamente cattiva, ingiusta ma anche oggi è usata. Per esempio alcuni vescovi di alcuni paesi mi hanno detto: “quando il nostro paese chiede un credito a una organizzazione internazionale pongono condizioni anche legislative”, ma questo non è colonialismo? Per tornare alla colonizzazione delle Americhe con spagnoli, portoghesi, francesi e inglesi, e quella mentalità di sentirsi superiori agli indigeni è grave e ci dobbiamo lavorare. Dobbiamo andare indietro e sanificare nella consapevolezza che anche oggi esiste lo stesso colonialismo. Pensa al caso dei Royinga nel Myanmar: sono considerati a un livello inferiore e non hanno nemmeno diritto di avere cittadinanza». 

 

Lei ha parlato con i sopravvissuti delle scuole residenziali canadesi dove si cancellava la cultura dei bambini indigeni. Anche la chiesa ha partecipato al genocidio culturale eppure lei durante il soggiorno in Canada non ha mai usato questo termine, perché?
«Non ho usato quella parola perché non mi è venuta in mente. Ma ho chiesto perdono per quello che è un genocidio. Ho condannato la prassi di togliere i bambini e cambiare in loro la cultura e le tradizioni. Genocidio è una parola tecnica io non la ho usata ma è un genocidio, si si lo è stato». 

In Canada lei ha viaggiato nonostante le sue limitazioni fisiche. Dopo questa settimana lei pensa che ci saranno futuri viaggi, oppure pensa che una eventuale operazione al ginocchio possa risolvere la situazione e portarla a viaggiare come faceva prima?
«Non credo che potrò andare con lo stesso ritmo dei viaggi di prima. E alla mia età e con questa limitazione devo risparmiarmi un po' per servire la Chiesa. Poi c'è sempre la possibilità di farmi da parte, del resto si può cambiare Papa, non è una catastrofe. Ma credo che devo limitarmi un po' con queste cose. L'intervento chirurgico non va nel mio caso, i medici dicono di si ma la anestesia è complicata. Ho ancora tracce della anestesia e non si scherza e per questo si pensa che l'operazione non sia del tutto conveniente. Ma io cercherò di continuare a fare dei viaggi, credo che sia un modo per servire». 

Andrà in Ucraina ad agosto?
«Ho detto che vorrei andare. Speriamo. Poi c'è il Kazakistan dove mi piacerebbe recarmi, si tratta di un viaggio tranquillo, è un congresso inter-religioso. Poi dovrei andare in Sud Sudan e in Congo, un viaggio con l'arcivescovo di Canterbury e il Vescovo della Chiesa di Scozia. Il Congo, in ogni caso, sarà l'anno prossimo perché poi c'è la stagione delle piogge. Certo la gamba non sta benissimo, vediamo». 

Lei tempo fa ha detto che quando un gesuita avvia un processo deve lasciare che si sviluppi, che una opera cresca e poi ritirarsi. Ogni gesuita deve fare così: nessuna opera in fondo gli appartiene perché è del Signore. Lei potrebbe ritirarsi?
«Il gesuita cerca di fare la volontà del Signore. Se il signore dice va avanti si va avanti o se dice di mettersi nell'angolo, ci si mette nell'angolo. Tutti noi aspettiamo la morte. Ma il Signore può dire dimettiti. Un gesuita deve fare discernimento spirituale per prendere decisioni e restare aperto a qualsiasi cosa gli dica il Signore». 

In Germania la Chiesa è impegnata in una importante riforma sinodale. La scorsa settimana è arrivato un comunicato del Vaticano in cui si dice che questo cammino non potrà essere non conforme con la tradizione e il magistero. Perché quel documento non è firmato da lei? 
«Quel comunicato lo ha fatto la Segreteria di Stato ed è stato uno sbaglio non firmarlo. Sul cammino sinodale ho già scritto una lettera e ho detto tutto quello che dovevo dire. Di più non aggiungo e quello è il magistero papale relativo al camino sinodale». 

Molti cattolici e anche tanti teologi ritengono sia giunto il momento di rivedere il divieto morale sugli anti concezionali. Giovanni Paolo I riteneva che un divieto totale fosse da riconsiderare, lei cosa pensa? 
«Il dogma e la morale devono andare nello stesso senso, attraverso una storia di sviluppo. La vera dottrina per andare avanti non deve essere rigida ma si sviluppa, si consolida con il tempo e si dilata. Il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione teologica, non si può fare teologia con un 'no' davanti. Deve essere un cammino aperto e il magistero deve aiutare a capire i limiti. Sulla questione anticoncezionale so che è uscita una pubblicazione con gli atti di un congresso e ci sono proposte, ma dobbiamo essere chiari, hanno fatto il loro dovere e cercato di andare avanti nella dottrina ma nel senso ecclesiale, poi il magistero dirà se va bene. La dottrina sulle armi atomiche per esempio, o la pena di morte. Una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale è una Chiesa che va all'indietro che è poi il problema di tanti tradizionalisti, sono “indietristi”. Dicono: nel secolo scorso è stato fatto cosi. “L'indietrismo” è un peccato e non va avanti con la Chiesa. Ed è sempre chiuso. È importante capire il ruolo della tradizione che è sempre aperta, un musicista - Malher - diceva che la tradizione è la garanzia del futuro e non è un museo». 

Ad agosto ci sarà un concistoro per la creazione di nuovi cardinali. Ha mai pensato a quali caratteristiche deve avere il suo successore?
«Questo è il lavoro dello Spirito Santo. Io non oserei mai pensare a quali caratteristiche potrebbe avere il mio successore. Lo Spirito Santo lo sa fare meglio di me. Sulla ipotesi delle mie dimissioni c'è un bell'articolo che ha fatto una di voi, elencava tutti i segni che andavano in quella direzione e poi dava una interpretazione dicendo che poteva essere questa o quell'altra. Ed è il vostro lavoro e vi ringrazio».

Le è mai venuto in mente, nei momenti più difficili, che forse era il venuto il tempo di ritirarsi?
«La porta è aperta, è una delle opzioni normali, ma fino a oggi non ho usato quella porta e non ho sentito la possibilità ma questo non vuol dire che dopodomani ci si possa pensare. Anche questo viaggio è stato intenso ed è vero che non si può fare un viaggio in questo stato, dovrei forse cambiare stile, risistemarlo, ma sarà il Signore a dire quando dovrò ritirarmi». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA