L'Intelligenza Artificiale arriva in chiesa, ma i robot non sostituirano mai i preti, «non hanno l'anima»

L'Intelligenza Artificiale arriva in chiesa, ma i robot non sostituirano mai i preti, «non hanno l'anima»
di Franca Giansoldati
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Lunedì 25 Ottobre 2021, 10:20

Nell'antico e famoso tempio buddista di Kodaiji, a Kyoto, in Giappone, i visitatori vengono accolti da un robot di nome Mindar costruito sui tratti della divinità della misericordia. Mindar stupisce i fedeli dispensando, con le sue mani in silicone e il suo viso androide ricoperto dello stesso materiale lattiginoso, gesti benedicenti e formule spirituali tratte dagli insegnamenti dell'Illuminato.


Quasi lo stesso accade dall'altra parte del pianeta, in una chiesa di Varsavia, in Polonia, dove è attivo SanTo, il primo robot cattolico, brevettato da un ricercatore di origine italiana, Gabriele Trovato, visiting professor alla Waseda University giapponese.

Il piccolo automa risponde a domande immense, come per esempio: «Esiste il paradiso?». Il pupazzo alto circa 40 centimetri replica in modo estensivo, applicando di codici di un programma basato sulla sacra scrittura e sul Vangelo e, naturalmente, duemila anni di magistero. «È più facile che un cammello entri da una cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli».


Forse non è la risposta che uno si aspetta per sapere se c'è vita dopo la morte, tuttavia offre uno spunto di riflessione sul fatto che l'intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui interagiamo con la realtà circostante, dai trasporti alla sanità, dalla alimentazione al terziario. Gli esempi sono ormai sotto li occhi di tutti.


Quello che ancora non è evidente è come l'AI possa interagire con il sacro, con la ricerca della spiritualità, la pratica della preghiera. SanTo dalla voce baritonale e un po' ultraterrena è programmato per recitare il rosario, accompagnare nelle preghiere i fedeli, persino (forse) confortarli con le frasi del Vangelo se qualcuno sta vivendo drammi o crisi spirituali. Finora tutto si muove sotto traccia e circoscritto a pochissimi esempi anche se l'interrogativo avanza.


Persino nelle sacre stanze delle maggiori religioni se ne comincia a parlare. I robot potrebbero rimpiazzare preti, rabbini, monaci, sacerdoti modificando la dinamica e il rapporto tra l'uomo e la propria dimensione spirituale? L'interrogativo carsico viaggia sottotraccia lasciando dietro una scia di inquietudine. La stessa che ha ben descritto lo scrittore Kazuo Ishiguro nel suo ultimo libro Klara e il sole che parla di un compagno intelligente artificiale sviluppato per dare conforto ai bambini e alleviare loro il senso della solitudine.
E visto che in futuro ci saranno sempre meno preti (per il crollo delle vocazioni) la Chiesa potrebbe ricorrere a questo espediente per mantenere i rapporti con i propri fedeli, siano essi ebrei o cattolici o buddisti? La risposta la fornisce padre James F. Keenan, gesuita, docente al Boston College e teologo moralista tra i più accreditati a scandagliare questo terreno insidioso.


A suo parere la questione si può risolvere alla radice perché «Gesù si era incarnato. E lo stesso dovrebbero essere i nostri preti. I robot non possono esserlo» dice, aggiungendo di seguito l'intelligenza artificiale non potrà mai produrre l'anima. Il prototipo cattolico di Alexa dovrà aspettare. Semmai il vero nodo è pensare a quali valori la società umana fa riferimento e quali sono le cose che rendono la vita degli uomini degna di essere vissuta.


Padre Keenan è stato chiamato di recente a parlare ad un convegno organizzato dal Pontificio Consiglio per la Cultura dal cardinale Gianfranco Ravasi dal titolo La sfida dell'intelligenza artificiale per la società umana e l'idea di persona umana. Lo scopo dell'incontro era quello di promuovere una maggiore consapevolezza sul profondo impatto culturale che l'IA può avere sulla società umana. Kenan non ha però nascosto di essere «più preoccupato non tanto per la macchina, il robot, ma per il progettista. Sono preoccupato dal dominio del progettista, perché come nella vita umana, il progettista si abbandona più facilmente al dominio che alla vulnerabilità. E si potrebbe dire che nella misura in cui il dominio è il peccato originale dell'umanità, cioè il dominio come rifiuto della vulnerabilità umana, allora la condizione umana ha bisogno di essere vigile quando il dominio si presenta all'orizzonte umano». La responsabilità quindi sembra essere la chiave per mettere a fuoco come andare avanti con l'IA in ogni ambito.

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