Anche i russi alla Via Crucis, l'idea del Papa per Kiev è uno schiaffo. L'ambasciatore: mai con loro

Anche i russi alla Via Crucis, l'idea del Papa per Kiev è uno schiaffo. L'ambasciatore: mai con loro
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 13 Aprile 2022, 09:51 - Ultimo aggiornamento: 11:56

Città del Vaticano - Il carico della croce della guerra grava sulle spalle dei russi e degli ucraini, in egual misura: un carico di sofferenze che per Papa Francesco va equamente distribuito. L'equidistanza praticata dal Vaticano tra aggressore e aggredito affiora inevitabilmente nella scelta adottata per la sacra rappresentazione pasquale della Via Crucis (che quest'anno si farà di nuovo al Colosseo, dopo due lunghi anni di Covid). Un rito che sarà sotto i riflettori e verrà trasmesso in eurovisione. Per gli ucraini - che da 49 giorni in qua vedono le proprie città rase al suolo, i bambini morire sotto le bombe e le donne stuprate dai soldati russi forse questo approccio imparziale non poteva che avere l'effetto di un pugno nello stomaco.

Il primo a manifestare pubblicamente lo sgomento è stato l'ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash che su Facebook e su Twitter, sotto l'immagine di un Cristo sul Golgota, ha fatto sapere che «l'ambasciata capisce e condivide la preoccupazione generale in Ucraina e in molte altre comunità, sull'idea di mettere insieme le donne ucraine e russe.

Ora stiamo lavorando sulla questione cercando di spiegare alla gente le difficoltà della sua realizzazione e le possibili conseguenze».Come dire, nemmeno troppo tra le righe, che è piuttosto complicato accettare anche questa mossa diplomatica, specie dopo gli inviti a recarsi a Kiev, tutti finora fatti cadere prudentemente nel vuoto dal Papa per non irritare Mosca e il patriarca Kirill.


Nel frattempo la polemica deflagrava un po' ovunque e diverse sedi di nunziatura sparse in Europa venivano raggiunte da telefonate e mail di protesta. Il fatto è che mettere sullo stesso piano aggressore e aggredito resta di difficilissima digestione, specie in questo momento storico segnato dal profluvio di immagini della più immane tragedia europea dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Per frenare l'ondata di critiche lo spin doctor di Papa Francesco, padre Antonio Spadaro, gesuita e direttore di Civiltà Cattolica, ha gettato acqua sul fuoco ricordando che il pontefice è solo un pastore e non un politico e come tale «agisce secondo lo spirito evangelico che è di riconciliazione». Omettendo, però, che gli interventi papali su argomenti particolarmente sensibili non sono mai neutri, anche se ispirati al Vangelo e fatti durante momenti liturgici o spirituali. Per esempio quando il Papa predicando si scaglia contro le leggi che bloccano i migranti alle frontiere o le leggi eutanasiche.


Ogni anno le quattordici stazioni della pia tradizione che rievoca le tappe principali della passione di Cristo, secondo la narrazione dei Vangeli, vengono affidate a figure capaci di simbolizzare i drammi contemporanei. In passato sono stati chiamati a portare la croce migranti, siriani, francescani provenienti dalla Terra Santa, disoccupati, senzatetto, donne abusate, malati terminali. Tutti in quel momento rappresentavano il Cireneo che affianca pietosamente Gesù nel cammino della passione. In questo contesto, stavolta, la scelta non poteva che cadere sulla guerra scoppiata nel cuore dell'Europa, tanto destabilizzante quanto violenta, che va avanti dal 24 febbraio dopo l'attacco deciso da Putin. Alla tredicesima stazione, quella che ricorda il momento in cui Cristo pronuncia la frase: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato», prima di morire, due donne Irina e Albina si faranno carico della croce di legno che verrà consegnata loro, al termine della dodicesima stazione, da una famiglia che ha perso un figlio. Senza dire una parola entrambe, in processione, la consegneranno ad una famiglia di migranti.

Alla fine la croce di legno raggiungerà il Papa al Palatino. Ieri pomeriggio, mentre infuriava la polemica, l'arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevcuck, a capo della Chiesa greco cattolica in Ucraina, nel suo messaggio quotidiano da Kiev, ricordava che il suo paese «sta vivendo il 48mo giorno di opposizione nazionale all'aggressione russa, 48mo giorno di morte, distruzione, dolore, pianto e lacrime». Aggiungendo, in aggiunta, a scanso di equivoci che sia i testi che i gesti della Via Crucis «sono incomprensibili e persino offensivi, soprattutto in attesa del secondo, ancora più sanguinoso attacco delle truppe russe contro le nostre città e villaggi». Per l'arcivescovo è chiaro che «i gesti di riconciliazione tra i nostri popoli saranno possibili solo quando la guerra sarà finita e i colpevoli dei crimini contro l'umanità saranno condannati secondo giustizia».

Il nunzio apostolico a Kiev, monignor Visvaldas Kulbokas, parlando ai giornali ucraini  ha detto che lui non avrebbe mai organizzato la preghiera in questo modo, perche' la «riconciliazione deve arrivare quando si ferma l'aggressione. E quando gli ucraini potranno non solo salvarsi la vita, ma anche la liberta'. E, naturalmente, sappiamo che la riconciliazione avviene quando l'aggressore ammette la sua colpa e si scusa».

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