Esorcisti scoppiati, con la sindrome da 'burn out'. Chi lo avrebbe detto. E' questa la l'amara realtà che emerge da una dettagliata e capillare indagine fatta sull'esorcismo nella Chiesa e diffusa dall'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum dove si è svolto l'incontro annuale di esorcisti arrivati da tutto il mondo. Dalle interviste svolte in Italia è affiorato il disagio, soprattutto per come gli esorcisti chiamati a lottare contro il demonio - attraverso le preghiere di liberazione - siano sempre più stressati, isolati, subissati da richieste di indemoniati o presunti tali, spesso persone con problemi psichici. E così i preti col patentino per cacciare i demonio sono costretti a rispondere ad un profluvio di sollecitazioni, divisi tra esorcismi e il disbrigo del lavoro in parrocchia, diventato sempre più burocratico. In una parola: i nostri esorcisti sono oberati dal super lavoro.
L'indagine - rivelata dall'Adnkrono - svela la condizione di isolamento degli esorcisti: «Si lamenta una certa mancanza di supporto o comunicazione da parte delle diocesi e/o degli altri sacerdoti.
La pandemia poi ha esasperato ancora di più lo stato delle cose per i nostri esorcisti perché, «l'impossibilità di stabilire una relazione di cura stabile ha provocato la comparsa di nuove forme di applicazione del rituale». Le lamentele registrate vanno dalle forti difficoltà nello svolgimento del proprio ministero, all'isolamento percepito: sorprendentemente , le maggiori criticità non provengono dal ministero in sé, ma dalle «condizioni materiali del suo svolgimento e dai rapporti che si creano con il territorio».
L'inchiesta mette a fuoco le difficoltà logistiche e temporali: «L'esorcista riceve una mole ingente di persone, non ha il tempo di accoglierle o di ascoltarle tutte. La gestione del ministero spesso è centellinata per altri incarichi che riveste il sacerdote, come ad esempio gli impegni quotidiani della parrocchia». Non secondarie poi le difficoltà relazionali: «I sacerdoti in generale si sentono poco aiutati, sia dalla diocesi sia da altri sacerdoti non esorcisti». Hanno tutti affermato di ricevere «scarso supporto per il loro ministero, fatto che incide, oltre che sul piano personale, anche nelle possibilità concrete di intervento nei confronti delle persone afflitte. Ciò è testimoniato dalla scarsità di staff diocesani di supporto rilevati nei questionari quantitativi».
A ciò si aggiungono difficoltà con la comunità: «Nel dispiegarsi di un cammino di liberazione molto spesso si assiste all'inserimento di persone afflitte nella vita di comunità di una chiesa o di una parrocchia. Questa convivenza può essere conflittuale e dare origine a diversi problemi». Quello che manca è un network intorno all'esorcista, al quale viene delegata non solo la cura della persona che si sente afflitta, ma pure quella dei familiari e della comunità. «Per network - spiegano gli esorcisti - intendiamo l'insieme degli strumenti, delle professionalità e delle possibilità di cura a disposizione dell'esorcista in un determinato territorio. Il solo aiuto viene dagli ausiliari, i quali spesso non hanno una formazione adatta per trattare certi tipi di fragilità». Ciò da cui non si può prescindere, conclude l'indagine, è la «cooperazione efficace tra esorcisti, comunità e diocesi: le interviste svolte mostrano come una mancata comunicazione tra i vari soggetti implicati nelle relazioni di cura influisca negativamente sullo svolgimento del ministero».