La pandemia come il quadro di Van Gogh, la lettera ai fedeli del vescovo di Sulmona

La pandemia come il quadro di Van Gogh, la lettera ai fedeli del vescovo
di Franca Giansoldati
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Sabato 3 Aprile 2021, 12:41 - Ultimo aggiornamento: 13:48

Si è affidato a Van Gogh, alla sua pittura potentissima venata da disperazione e follia, per descrivere il buio che sta attraversando il mondo durante la pandemia. Una oscurità che, però, è costellata da luci lontane. Proprio come nella tela del pittore olandese intitolata La Notte Stellata. Il messaggio ai fedeli della diocesi di Sulmona scritto dal vescovo Michele Fusco per la Pasqua è una riflessione fortissima che si dipana attraverso l'arte, proprio per rendere più plastica ed evidente la possibilità di intravedere nell'oscurità, nella disperazione, nello scoraggiamento un filo luminoso. 

«L’umanità, gli Stati, la Chiesa, tutti, stiamo attraversando una notte profonda, un’intensa oscurità. Esperienza che ci coinvolge, ci fa paura, ci afferra interiormente. Storia di questi giorni, che ha toccato ogni uomo di questo tempo, sta segnando le giornate, le ore, ha bloccato l’intera umanità. In questa notte siamo chiamati ad alzare lo sguardo, a guardare il cielo, a scoprire che nel buio della notte ci sono stelle luminose. Se restiamo a guardare la terra tutto ci appare buio, se alziamo il capo vediamo la luce anche nella notte». 

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Il vescovo spiega che il famosissimo dipinto “Notte stellata”, realizzato del 1889 durante l’anno di permanenza nella clinica psichiatrica, Vincent Van Gogh esprime in modo straordinario il contrasto tra luce e buio, una lotta interiore tra le sue emozioni, le paure dell’anima e la ricerca della luce che vede risplendere dalla sua finestra d’ospedale.

Un po' quello che succede anche oggi a milioni di persone e che Dante Alighieri - dopo aver faticosamente attraversato l’Inferno -  nell’ultimo verso, descrive così: “E uscimmo a riveder le stelle”.

Il vescovo invita i cristiani nella notte dell’anima che accomuna tutti, a qualsiasi latitudine, a fermarsi e alzare gli occhi al cielo e aprire il cuore alla speranza.

Il bellissimo messaggio scritto dal vescovo mescola elementi di introiezione personale a riflessioni teologiche, prendendo a prestito il lavoro speculativo dei grandi maestri della spiritualità. 

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«Siamo coinvolti singolarmente e come umanità, tutti sulla stessa barca, sballottata dalle onde in cerca di una riva sicura dove attraccare, cercare riparo e trovare salvezza». 

Madre Teresa di Calcutta, per esempio, nelle celebri lettere al suo direttore spirituale raccontava di aver vissuto per molti anni una profonda “oscurità”, sentendosi abbandonata da Dio, ma decisa ad «amarlo come non era mai stato amato prima». Una notte intima cha lei aveva attraversato nella sua esperienza di vita e che l’ha portata ad una sempre più profonda unione con Dio. Ma mentre sperimentava il buio, alle persone che la incontravano, ha raccontato il vescovo di Sulmona, Madre Teresa donava luce: «Ho iniziato ad amare la mia oscurità, perché adesso credo che essa sia una parte, una piccolissima parte, dell’oscurità e della sofferenza in cui Gesù visse sulla Terra» scriveva la santa di Calcutta. 

«Nel buio della terra il seme muore e genera una nuova pianta, nel grembo della terra Gesù si annulla per risorgere a vita nuova. Ad ogni notte fa eco la notte delle notti, la notte del Golgota, il venerdì santo, l’abbandono del Cristo crocifisso, il grido dell’umanità rivolto verso il Padre, da cui sgorga la risposta di vita del giorno di Pasqua» spiega il vescovo seguendo la metafora del chicco di grano che sotto la neve germoglia. Non c'è strada dura che non siailluminata di speranza. «Mentre attraversiamo la notte non sempre ci accorgiamo che sta nascendo qualcosa di nuovo, che emerge lentamente che si fa avanti. Dopo un periodo buio sono emerse sempre periodi di luce di nuova nascita dell’umanità, chissà cosa dovremo aspettarci dopo la pandemia».

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