Cardinale iracheno Sako critica gli Usa: «Avevano promesso la democrazia ma è peggio che con Saddam»

Cardinale iracheno Sako critica gli Usa: «Avevano promesso la democrazia ma è peggio che con Saddam»
di Franca Giansoldati
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Martedì 1 Novembre 2022, 17:20 - Ultimo aggiornamento: 2 Novembre, 20:31

Città del Vaticano - «Mi chiedo dove sia la democrazia che gli americani avevano tanto promesso in Iraq. Mi domando perché mai gli Usa pensino sempre al proprio tornaconto: immaginano forse che gli altri popoli siano degli schiavi o dei servi?» E' durissimo il giudizio del cardinale iracheno Luis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, sul decennale ruolo svolto nel suo paese dalla politica della Casa Bianca per “far cadere un regime” - quello di Saddam Hussein – ed installare successivamente un regime democratico benché l'obiettivo auspicato non si è mai realizzata appieno. Sako denuncia, in una intervista al Messaggero, il futuro fosco che attende i cristiani iracheni e si preoccupa per il perdurante stallo politico nel suo paese.

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“Si è formato un governo settario.

Non c'è unita nazionale e non sappiamo cosa sarà dell'avvenire comune. A questo quadro si aggiunge che la classe politica irachena è divisa e il popolo aspetta da anni cambiamenti e progressi. Tutto resta terribilmente incerto e la gente che ha i mezzi sceglie di emigrare all'estero”. Sako in questi giorni era a Roma per partecipare all'incontro inter-religioso organizzato da Sant'Egidio al Colosseo.

Continua l'emorragia dei cristiani?

«Purtroppo si. La gente chiede il rispetto dei diritti fondamentali ecco perché c'è chi continua a preferire la via dell'espatrio. Cercano il rispetto della dignità umana che non trovano in Iraq» 

Si può parlare di persecuzione?

«Non vedo come altro definire quello che i cristiani subiscono. Se non sei musulmano fai parte di una categoria inferiore e non puoi accedere a cariche, non hai le stesse opportunità, sei ingabbiato. Mentre se un cristiano abbraccia l'Islam ecco che le cose cambiano. La prima classe nella società è destinata ai musulmani, chi appartiene ad altre religioni finisce in serie B. Ma in una democrazia questo non dovrebbe essere permesso. Lo Stato dovrebbe trattare ogni cittadino allo stesso modo senza discriminazioni di sorta e non mettere barriere. Anche io sono considerato un cittadino di serie B, non faccio eccezione. Il problema dell'Iraq è quello che si riscontra anche in altri paesi a maggioranza musulmana, dove occorrerebbe separare lo Stato dalla religione. Lo Stato moderno è una organizzazione giuridica e non si dovrebbe identificare con un particolare credo religioso, mentre la fede è qualcosa tra l'individuo e Dio e non spetta allo Stato conoscere a quale religione appartengo». 

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Mi faccia per favore degli esempi concreti...

«Ce ne sarebbero centinaia. Se sei un non musulmano fatichi a trovare un lavoro. Se un cristiano si presenta per un incarico e ci sono candidati musulmani, a parità di titoli, si privilegiano sempre questi ultimi. Noi cristiani possiamo pregare nelle chiese ma non possiamo vivere la libertà di coscienza. Un cittadino musulmano non può cambiare fede e battezzarsi, finirebbe per essere ucciso, la conversione equivarrebbe a una condanna a morte. Mentre se un cristiano diventa musulmano diventa una festa per tutti». 

Sono più i musulmani a convertirsi e diventare cristiani o viceversa?

«Diciamo che i cristiani che diventano musulmani sono molto meno e se questo si verifica è perché ci sono problemi in famiglia, per esempio se devono sposarsi e il matrimonio è misto». 

Vorrei tornare, per favore, al ruolo svolto dagli Usa in Iraq. Tra poco in America ci saranno le elezioni di Midterm e nel 2024 gli elettori americani saranno chiamati ad eleggere un nuovo presidente. Cosa auspica?

«Spero che gli americani possano trovare un leader, un presidente lungimirante che conosca bene la situazione internazionale in modo che possa analizzare lo stato delle cose in Medio Oriente e prendere la decisione giusta per andare nella direzione giusta e non solo ricercare interessi economici. Tutti i presidenti parlano della difesa della dignità umana ma allo stato dei fatti dove è la dignità umana in Iraq? Purtroppo ci sono due criteri di azione da parte della politica Usa: non si può sempre pensare al proprio tornaconto. Sentiamo parlare della democrazia, ma dove è che i politici americani la stabiliscono? Non parlo solo dell'Iraq ma anche in altre zone del mondo. Non bisognerebbe creare tensioni ma dialogare con la gente. Gli Usa hanno fatto cadere il regime di Saddam ma non hanno formato gli iracheni ad accogliere la democrazia, a vivere come veri cittadini. Hanno tolto un regime per favorirne un altro sistema che ad oggi è peggiore».

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