Lecito armare Kiev? Critiche a Parolin per la cauta linea diplomatica del Vaticano

Lecito armare Kiev? Critiche a Parolin per la cauta linea diplomatica del Vaticano
di Franca Giansoldati
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Venerdì 8 Aprile 2022, 19:25

Città del Vaticano – «Il cardinale Parolin parla del diritto dell'Ucraina alla legittima difesa ma allo stesso tempo deplora il fatto che i paesi occidentali le stiano fornendo armi perché questo potrebbe provocare un'escalation: ma è come dire a un affamato che ha diritto a soddisfare la sua fame ma poi non gli si fornisce cibo». La prudente linea diplomatica del Vaticano sul diritto degli ucraini a difendersi dai russi con armi adeguate, affrontata con eccessiva cautela in questi giorni dal cardinale Segretario di Stato, ha avuto in Polonia, dove sono presenti 2,8 milioni di profughi, una accoglienza piuttosto polemica. Il fatto è che in questo frangente storico le eccessive sfumature teologiche risultano ormai incomprensibili davanti a tanta devastazione. Ogni giorno sono sempre più i cattolici e i preti polacchi che non nascondono disagio. A rispecchiare questo diffuso malessere è il giornale della diocesi di Katowice, uno dei più diffusi (equiparabile grosso modo a Famiglia Cristiana) che ha pubblicato un editoriale di fuoco, facendosi interprete delle critiche.

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«La linea della diplomazia vaticana potrebbe fare più male che bene alla missione fondamentale della Chiesa, che è l'evangelizzazione.

Le successive dichiarazioni del Segretario di Stato vaticano non fanno che confermarlo» si legge sul giornale che, nel passaggio successivo, affianca la dichiarazione di Parolin a quella di un vescovo tedesco, Peter Kohlgraf, il quale sostiene che la fornitura di armi all'Ucraina potrebbe provocare la Russia a usare armi nucleari. «Parolin e Kohlgraf sembrano non voler capire che l'Ucraina resiste e respinge l'attacco solo perché ha ricevuto delle armi (...) C'è solo una cosa da dire: se non si vuole aiutare, se non si può aiutare o se non si sa come aiutare, almeno non si disturbi» si legge.

In questi giorni anche un noto gesuita polacco, padre Wojciech Ziolek, attualmente in Siberia dove dirige una piccola comunità ha pubblicata sul giornale cattolico polacco, "W Droga", un articolo che ha subito fatto il giro del Paese. Il religioso confessava con amarezza il fatto di non riuscire a comprendere «le parole felpate della diplomazia vaticana o i bei testi della Civiltà Cattolica» in cui si consiglia di attingere dai romanzi di Dostoevskij o dalla musica di Tchaikovsky in questo momento difficile (...)». La sintesi di tanti malumori è che la Chiesa dovrebbe imparare a parlare del dolore «con linguaggio concreto (che non è meno biblico) o altrimenti soffocheremo di formule diplomatiche che suonano poco digeribili».

La riflessione del gesuita Ziolec è circolata con insistenza in questi giorni, sollevando dibattiti. In un altro passaggio il gesuita (che è stato provinciale dei Gesuiti della Polonia) definisce «vergognose le dichiarazioni della Comunità di Sant'Egidio, quella istituita per aiutare i bisognosi, sul fatto di lasciare senza aiuto chi è stato aggredito, violentato, perchè così soffrirà di meno». Parole pesanti, probabilmente dettate da emozione, che fanno da specchio ad un conflitto evidentemente lacerante, esploso all'interno della Chiesa polacca ormai spaccata sul da farsi. Cosa è moralmente accettabire fare davanti ai bombardamenti russi e alle vittime che aumentano ogni giorno di più?

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